25-11-2013 Bibbia d’Asfalto Contro la Violenza sulle Donne

__Io esisto 1 bassa(Io Esisto di Donatella D’Angelo)

 

  • Stupro di (Donatella Maino)

ho conosciuto il peso dell’uomo,
le sue mani stringermi il collo.

fra i seni è colata una bottiglia di rhum,
era il giorno speciale della lingua di gatto;

il galoppo spaccava le costole,

guardavo gli areoplani
cercando i nomi di chi scorre il vento:
li ho visti scomparire
nelle sue gengive gonfie di sperma.

Tutt’ora vedo nel dissimile l’identico.

≈≈≈

  • Non hanno cani, quelli così (di Francesca Ferrari)

Non hanno cani
quelli così, che sputano tormenti
la fiducia gli resta intrappolata
nell’urlo della donna che li espelle
e non racconta
come vanno le cose.
A chi non manca nulla, manca madre
la vuole per scaldare
gli inverni che gli crepano
le pupille al risparmio
ma c’è una donna
che non vuole morire
tantomeno scopare per favore
che dice addio
alle fiabe dorate
ai sussurri su un dito
alla gogna di un posto
obbligato nel letto dal divieto
di un pazzo e i suoi replay.
Guardala nel salmastro dei suoi abiti
– convento di notturni in bianco e nero –
si aspettava da tempo, quello è il posto
del ricongiungimento
alla sfera infuocata
l’appuntamento ad ovest, sotto, i camion
aggredita soltanto dall’olezzo
delle zolle vangate dal mezzadro.

 

≈≈≈

  • Dio è uomo ( di Giulia Angela Fontana)

Quel seme era acqua nel ventre
lo hai nutrito
con la stessa forza dell’acqua
la stessa violenza
fango
che regala solo lividi alla carne
è tua la colpa
donna
è il tuo figlio maschio
il tuo bambino protetto, prediletto, cullato
lo stesso che giocava alla lotta
sei stata brava ad insegnare la difesa
il tuo senso di colpa ti rende schiava
del piacere, del ventre, del miracolo perpetuo
è tua la colpa
sei la menomazione dell’uomo col sacrificio di una costola
sei il peccato originale
inginocchiata, sottomessa, adattata, plasmata
l’uomo che uccide la donna
è stato il tuo bambino.
la colpa è donna per mano di una donna
infatti la Religione è Donna
ma è governata da soli Uomini
Allah è uomo
Buddha è uomo
Dio è uomo
Maometto è uomo
Sono stati i bambini delle donne.

≈≈≈

  • SENI FERITI (di Luigi Finucci)

Mi alzo
sfioro i tuoi seni feriti
la finestra non mi da respiro,
guardo fuori
e accompagno i tuoi gesti
entro dentro di te
l’abbraccio della tua anima
mi fa scomparire
spaesato
sospinto da gelidi sospiri
leccando la vita che mi passa accanto
in un schermo piatto e tremo
tra sigarette spente.
Condotto nella stanza di specchi e farfalle
tu davanti a me che balli
danze antiche;
non ho mai amato
un corpo così bello
ma tu hai paura
scappi da me ,dal mio fare
dal mio modo di amare,
ti amo e vorrei ucciderti
tra la seta bianca
che si tinge di rosso
e ti afferro-
Mi alzo
sfioro i tuoi seni feriti e sussurro-
amami Amore mio,amami-.

≈≈≈

  • PROFONDO BLU (di Alessandra Piccoli)

E in una morsa di milza

che mi accascio e mi piego

al tuo volere

che mi stende

su un dì vano

che non vedrò domani.

Mani e lacci

nodi in gola e fiato rotto

flusso fermo

abbandonami l’interno

chiudi porte, finestre, tutto uscendo

tieni stretta la corda

stendi un lenzuolo passando

che sia bianco e smacchiato.

Io vivrò di poca aria viziata

dal tuo odore

che ho addosso.

≈≈≈

  • 7 storie – 7 scene (di Vera Libertà)

E ogni notte stessa scena.
Sette notti. Sette scene.
E ogni notte stessa storia.
Sette notti. Sette storie.

La prima notte perse gli occhi, compromessi dall’orrore.
La seconda scordò le labbra, dimenticate dentro a un sogno.
La terza lasciò i polsi, trafitti da aghi di cristallo.
La quarta donò l’anima a una canzone senza senso.
La quinta abbandonò i pensieri ad asciugare sotto il sole.
La sesta giocò ai dadi i suoi capelli di vetro.
La settima nascose il cuore sotto il sasso di un sentiero.

Ma poi.

Il primo giorno nelle orbite dispose margherite.
Il secondo adagiò due lame a simulare le labbra.
Il terzo arrotolò disegni a sostituire i polsi.
Il quarto cucì un aquilone di seta a fare da anima.
Il quinto infilò come pensieri diamanti di nulla.
Il sesto stese fili di rame a copiare i capelli.
Il settimo collegò una piccola bomba a scandire i respiri.

E ogni giorno stessa storia.
Sette giorni. Sette storie.
E ogni giorno stessa scena.
Sette giorni. Sette scene.

≈≈≈

Maria R. Orlando, Senza Titolo, Tecnica mista su tavola 70x100

(immagine di Maria Rita Orlando)


≈≈≈

  • Materna (di redent Enzo Lomanno)

Di questo miracolo

La nudità d’un fiore
nei semi
adagiati sulla pelle

L’immutabile profondità umana

del seno adorno
per i bambini
della terra

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  • Sicura (di Paolo Aldrovandi)

Sicura da saltar la morte

anche se ha gambe storte

ripone consiglio nell’attimo che ride

e sorride urlando dolore di rose

 

rose che sbocciano amare

in fuga da giardini di merde vestiti

che portano a spasso padroni

sporchi di lavori senza un senso finito

 

aliena nella sua giornata di pane

che trema distesa davanti al cortile

osserva i rami sapere che è inverno

e dopotutto lo sente che sta per finire

 

Sicura da saltar la morte

anche se ha gambe storte

allunga le braccia sottili

verso mani che sanno tenere

 

quello stomaco stretto fino a volere

l’abbraccio finale fatto di cera

che è la coperta ogni cazzo di sera

accasciata sui piedi messi a tacere

 

sulla figura in penombra che tiene segreta

persino al suo cuore che osserva sbiadito

pareti di corde che legano strette

e levano aria all’intimo sogno

 

Sicura da saltar la morte

nella brama di una vecchia sorte

lascia sgorgare sangue di mirto

e trova ingiusto ogni tormento

 

persino nella vendetta messa davanti

al suo grembo che rimbalza al vento

seduta in braccio alla scogliera dei canti

adopera le sue mani come una cura di miele

 

che scivola denso e indifferente al sole

in ginocchio dentro agli anni smarriti

ora tiene i suoi palmi rivolti al cielo

e aspetta pioggia di lacrime del suo amare.

 

≈≈≈

  • Corpo analizzato (di Maria Rita Orlando)

Corpo analizzato
misurato da mani di lattice.

Scrutato da occhi curiosi

– fin troppo –

Sola come l’ultima delle creature.

Violata

nei segreti

custoditi anfratti.

Palesati

inosservanti del pudore

annullato mortificato deriso.

Sola come l’ultima delle creature.

≈≈≈

  • Io Esisto (di Donatella D’Angelo)

Lui è lì. In piedi di fronte a me, un centimetro da me. Ora si litiga. Uno di quei litigi stupidi. Di quelli inutili, da evitare. Di quelli che cominciano con un bicchiere rotto e finiscono insultando tutti gli angeli del paradiso. Litigi nei quali t’impantani, più ti agiti e più vai a fondo.

So che la cosa migliore è mantenere la calma, ma non sono sicura di averne ancora la forza. Una strana agitazione comincia a montare, e non riesco a trattenerla, mi riempie la pancia ed esce impetuosa dalla bocca, infine. “Basta, evita di criticare sempre!”

Di colpo, silenzio.

Lui si volta e mi guarda come se mi avesse visto per la prima volta. Poi esplode:

“E tu (pausa) … tu (pausa) … tu evita di esistere!”

In quel preciso istante non sento più nulla. Lui grida ancora qualcosa, vedo le labbra muoversi e le braccia agitarsi. Esistere. Odo solo un lieve ronzio. Tutto intorno a me gira a rallentatore.

Esistere. Ripeto nella testa le sue parole e le sue pause. Sì, le pause, in tutta la loro composta severità. Chiudo gli occhi. Esistere. Vorrei sedermi, ma non riesco a muovermi. Lì, in quel luogo e in quel tempo, si è spezzato qualcosa.

«Evita di esistere!» La frase riecheggia nella mia testa, feroce, brutale. Più dura di ogni pugno in pancia mai ricevuto.

Lui, che si erge a giudice indiscusso della vita e della morte. Della mia vita e della mia morte. La parola esistere. Il suo inconscio l’ha scelta.

Lui, sull’orlo del precipizio, appeso alla parola esistere. Vivere, essere in vita, esserci. Mi scaraventa addosso il suo disprezzo, la sua volontà di annullare la mia presenza , il suo desiderio di cancellarmi. È il suo vile modo di uccidermi. Non esserci, la totale negazione. Il nulla, la mia esistenza contro la sua. Cruda sopravvivenza in una battaglia corpo a corpo.

Ma io esisto.

 

≈≈≈

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(Immagine di e1kel)

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  • Quel giorno che finì l’inizio (di Ivano Ferrari)

“…può succedere che la cagna, specie se è giovane e affronta da sola la prima gravidanza, sviluppi una persistente reazione negativa verso i propri cuccioli con episodi di cannibalismo…”.

Il piccolo cane sta disteso su un fianco con i visceri riversati che erompono da una falla nell’addome rosa squarciato. Il corpo sussulta inerte per gli scatti della testa della madre che lo divora a strappi con il muso chiazzato di rosso.

Dovrei smettere di guardare questo schifo.

Lo so.

Che dovrei spegnere. Che ci proverò, persino. Davvero. Che tenterò di distogliermi, di cambiare canale.

E so che ugualmente la paralisi arriverà per prima, come sempre. Che non farà alcuna fatica a costringermi a star ferma, a stregarmi immobile su questa poltrona. Che non ci sarà neanche il tempo di cercare il telecomando con gli occhi. E mi terrà così, senza che io possa muovere un muscolo, senza poter distogliere lo sguardo. In balia di quest’orrore che odio ma non potrei smettere di guardare per nessuna ragione al mondo.

Assisto a tutto fino in fondo con una voluttà che mi intossica.

Un documentario sulle tartarughe alligatore con il loro ghigno pietrificato del pleistocene mi riporta in questa casa e di nuovo ho la forza di alzarmi.

Non so come farò ad affrontare il turno di stasera sfinita come sono. Mi succede tutte le volte. Tutte le volte che faccio queste cose che non vorrei fare.

Con fatica infinita mi alzo e ci provo.

Prima del turno lungo di notte ci sono un sacco di faccende da sbrigare e se non le faccio io non ci pensa nessuno. Devo lasciare le crocchette ai gatti, l’acqua fresca e la lettiera pulita. Poi c’è mamma al piano di sotto che se non passo si agita. Devo controllare che prenda le medicine, cucinarle qualcosa e chiudere per bene il gas che se no torno domattina e trovo solo le macerie del palazzo. Ricordo ancora un anno fa una mattina allo smonto che ho cominciato a sentire l’odore già da dentro l’ascensore. Lei dormiva nella sua stanza beata con la finestra socchiusa mentre l’appartamento sembrava la camera a gas di un campo polacco nel ’44.

Sistemata lei, ad altri non devo pensare perché vivo da sola. Non ho un marito, un compagno o una compagna, nessuno. E’ stato tanto tempo fa che questo ha smesso di essere possibile. Vietato pensarci adesso, se ci si riesce.

Comunque l’importante alla fine è che resti il tempo per prepararsi per bene prima di uscire e per quello non ci va mai meno di un’ora intera. Perché io quando esco, anche solo a comprare il pane, devo essere perfetta.

Prima faccio una lunga doccia. Ne ho comprata una di quelle con i getti di idromassaggio che tonificano il corpo e non manco mai di fare un’ultima passata di acqua fredda, alla fine, per attivare la circolazione nelle gambe.

Ho gambe lunghe e belle, inutile fare la modesta. Caviglie sottili, piedi dalla pelle liscia e lucente, senza una screpolatura. Ho dita affusolate, unghie perfette rivestite da smalto trasparente. Li curo anche molto, ad essere sincera. Almeno ogni due settimane trascorro qualche ora dall’estetista dove faccio anche le mani, la ceretta e se ho tempo una maschera per il viso.

Dopo la doccia passo alle creme. Uso una crema idratante e nutriente per il corpo che va dosata e spalmata con un massaggio leggero ma deciso finché non è completamente assorbita. Bisogna partire dalle caviglie e risalire verso le cosce, come una carezza forte. Come dicono sia la carezza di un uomo. Chi se lo immagina come sarebbe stata la carezza di un uomo. Magari sarebbe stata davvero così, decisa ma delicata, esperta. O forse sono solo io che la immagino in questo modo, perchè non l’ho mai conosciuta.

Faccio fatica a trovare bello il mio viso anche se tutti dicono il contrario. Io ci vedo la mia storia, l’impossibilità di cambiarla, la consuetudine con una presenza di cui non ci si può liberare e che si è smesso di giudicare, l’abitudine. Come quando un giorno ti dicono che tua madre è una bella donna e tu ti stupisci, cerchi di vederla con i loro occhi e capisci che non puoi farlo. Questo non toglie che io mi prenda cura lo stesso del mio viso, come di tutto il resto. Dirado le ciglia, mi trucco con pazienza e senza esagerare, sfumo il fondotinta, evidenzio gli zigomi per smorzare il fatto che è lievemente troppo tondo, scurisco l’interno degli occhi per farli sembrare meno distanti.

Mi vesto provocante, non ne faccio mistero. Ho un seno pieno, una quarta-coppa B, ho preso da mia nonna che quando la lavavo che era già malata aveva ancora questo bel seno turgido e grosso nonostante l’età. Lo mostro volentieri, con capi scollati e attillati. Porto gonne corte e li sento tutti morirmi dietro, per strada, al lavoro, ovunque. Sbavare per me, per una che non avranno mai. Sbavate pure, inutilmente.

Io mi nutro della vostra bava.

Ma avermi è un’altra cosa, quello  ha cessato da molto tempo di essere una cosa possibile.

Di colpo mi rendo conto che ci ho girato troppo intorno stasera, ci sono andata troppo vicina. Non riesco più a tenerlo spento il ricordo di quel giorno. Mi sa che stavolta non ce la faccio a spingerlo con la testa sotto.

Ecco che di colpo erompe.

Lo sapevo da quel documentario che oggi saresti tornato, caro zietto.

Con il tuo odore di sigarette e la tua barba che punge.

Io sto guardando quella rivista di musica e c’è il cantante di quel gruppo tedesco che è carino da morire, da mangiare. Ti siedi accanto a me sul letto, vuoi vederla anche tu la mia rivista. Cosa ci farei con il cantante? Io non ci ho mai pensato. Respiri affannato, mi guardi che non capisco. Quando mi metti quella mano pesante con le dita gialle sulla coscia c’è la prima morte. E’ la fiducia nelle persone grandi, nei parenti, nella protezione della casa. La prima di tutte le cose che non saranno più possibili. Quando mi tieni le braccia ferme e cerchi di baciarmi, muore per sempre il mio primo bacio, il batticuore del primo appuntamento, l’emozione di un respiro che ti entra dentro e ti accetta dentro, che ti piega le gambe. Quando mi stringi la gola per non farmi urlare chiudi per sempre la strada alla mia voce che potrà dire ti amo. Quando mi strappi i jeans facendomi così male che non l’avevo mai sentito ed esponi al tuo sguardo le parti di me che ho imparato da poco a non far vedere a nessuno, nemmeno alla mamma, e mi schiacci e mi laceri, e sussulti e non t’importa niente di me che sono un pezzo di straccio con cui pulirti, di colpo si spengono mille futuri. Mille prime volte, mille notti possibili, mille storie d’amore che non mi succederanno mai più.

Mi lasci con tutte quelle morti che non riesco a respirare e se lo dico a qualcuno m’ammazzi. E con quella porta chiudi anche l’ultima porta possibile, quella con cui si arriva al conforto di mamma, alla confidenza, alla consolazione. Ne lasci aperta una che non avevo mai visto. Quella del segreto e della solitudine che nessuno può lenire. Esci e con quella porta ne chiudi mille, le mie mille porte che non si apriranno mai più. E mi lasci sporca, che mi faccio schifo e mi vergogno e non mi merito di esistere.

Ma ora basta. Per oggi basta.

Devo tornare qui. Devo ancora finire di pettinarmi, devo scegliere le scarpe.

Non devo piangere che si rovina il trucco e non c’è più tempo di rifarlo.

E invece io devo essere perfetta.

Sentirvi sbavare nella sala mentre ballo tenendomi al palo.

Tanto bella da abbagliare. Così che tutti mi possano guardare.

E nessuno mi possa vedere.

 __Io esisto 2 bassa(Io Esisto di Donatella D’Angelo)

6 Comments

Ragazzi, una cosa sola: brividi.
Che sia tutto l’anno la lotta contro questo crimine che va fermato.
In primis da noi donne.

La storia che racconto nel mio pezzo è una storia vera. Una delle tante che ho raccolto e tenuto con me in questi anni. La violenza non cessa quando la mano si placa. Non finisce il giorno dopo o l’anno dopo. Getta la sua ombra su vite che non potranno mai piú essere le stesse. Chiude mille inizi. Sbarra mille porte.

Caro Ivano, hai detto una cosa sacrosanta, peccato siano in pochi a comprenderla, la tua vita non sarà mai più la stessa. I soprusi vanno oltre la violenza di genere, purtroppo, perchè la società è violenta in sé e ancora non ci vede come “individui”. Lo posso dire per esperienza personale. Anche il mio pezzo è una storia vera, la mia. Vorrei aggiungere però che dalla violenza si può uscire e anche a testa alta. Non è facile, ci vuole un certo grado di consapevolezza, ma si può e ci terrei a mandare un messaggio positivo tra i molti che non fanno che sottolineare solo la parte negativa, facendo ripiegare le “vittime” su se stesse per il timore di uscire allo scoperto.

Si respira la morte in questo racconto,il dolore causato, la distruzione della vita e la speranza in un domani che non arriverà mai più. E’ la lacerazione prodotta dalla violenza che non uccide il corpo, ma sopratutto l’anima. La vita sembra continuare , ma senza vita. Si vive sfidando la vita.

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