Il rumore dei biglietti della metro
Quando sono scesa e dei tipi mi hanno indicata
E l’aeroporto aperto a tutti
Con la tua faccia abbronzata
Piena di lacrime
Come se io fossi la madonna
E coi miracoli le tue spalle
Arrivate fin qui
Dopo circa un mese ogni volta,
e l’albergo ‘Bruno’ tra solai
e blatte
che c’ha fatto di metamorfosi e stelle
con una scritta verde lampeggiante
che voleva dire che era l’ora di salire le scale
col sudore sulla fronte e i tuoi occhi neri
che non sono qui
che non sono mai stati qui
allora saliamo per queste scale e io
pago quindici euro a notte per tutti e due
e rinuncio a birre per un mese e mezzo circa
così possiamo condividere il bagno
con persone che gridano di notte
che non hanno volti
e dalla finestra non si vede niente
e dal balcone la città è morta
mentre noi ci arrampichiamo
sul letto e lasciamo una pizza a terra
e io alle 6 del mattino ho paura del terremoto
e tu ridi perché sono uscita nuda dal balcone
e il proprietario dell’albergo che c’ha dato
la sua stanza che c’è sembrata 0 metri per 0
entra all’improvviso e ti trova senza vestiti
mentre parliamo sul letto con le teste che
sono molecole e il pomeriggio che è inverno
così ci dice
scusate ragazzi mentre ti guarda le palle
e io rido fino a crepare per tutta la notte
e qualcuno scopa forte nella stanza vicino alla nostra
la luce è gialla
e siamo due falene
sempre con la metamorfosi e
tutte quelle cose che c’hanno permesso per due
anni di volare sopra pezzi di terra rossi
oceani che mi facevano tremare le ginocchia
e Bari e Bergamo e Lamezia e Roma e i treni
e gli svincoli e i fuochi d’artificio
quella volta a Valencia
che hanno fatto tremare la terra
m’hanno spinto fin qui
mentre due anni fa per due anni
avevo paura dei terremoti delle 6 del mattino
e la chiesa ci sembrava un argomento
discutibile mentre il tuo cazzo si gonfiava senza lenzuola
e io ti spiegavo perché i miei capelli erano più rossi del solito
come i pezzi di terra
come la Spagna in cui io infilavo l’anima
e tu il naso
come tra i miei capelli
a cui ci attaccavamo
con affilate mani-giungle d’amore giovane
che nessuno può conoscere
come la sottana di tua madre
e tutto il tempo in cui t’ho sfottuto
e la sua sottana alla quale t’ho immaginato attaccato
mentre ti giravi dall’altra parte nel letto senza sonno
ma sognando di schiacciare teste alla stazione dei pullman
la sottana piena di fiori bucata dalle tue non unghie
che hai usato per tenermi
il tempo di una canzone di Enrique Bunbury che ci
guarda con la bocca spalancata
e in fondo alla sua gola
abbiamo creato qualcosa che è stato
detto sottovoce
e abbiamo fatto sentire però
le nostre grida
nell’albergo con luci lampeggianti
e le blatte che eravamo noi
senza mai trasformarci e fuggendo
continuamente tra un mobile e l’altro
e la sottana di tua madre piena di fiori
che ci immaginavamo come un parco
e noi nati dal suo collo soffocato
col cordone ombelicale che partiva dal cervello
che risucchiava il cervello
che era casa
oppure un albergo a ore
quindici euro a notte
senza birra e col tuo cazzo
che abbiamo definito spesso enorme
e dritto
come un albero piantato al centro di quel
prato
dopo che tua madre c’aveva partoriti
ed era morta
e noi potevamo essere vivi
coi pezzi di terra rossi
e i miei capelli rossi
e col rumore dei biglietti della metro
Quando sono scesa e dei tipi mi hanno indicata
E l’aeroporto aperto a tutti
Con la tua faccia abbronzata
Piena di lacrime
Come se io fossi la madonna
Col vestito nero
E qualche aborto universale
Che c’ha rivoltati e sbiancati
Fino a farci perdere come due corridoi
O due blatte o due scritte lampeggianti
Piantandoci alberi nel petto per anni
Fino ad ora,
fino ad ora.