ANGELI OSCURI

Chapal si sistemò meglio sulla sedia. La maggior parte della notte era trascorsa senza chiudere occhio e ancora si continuava a girare intorno alle stesse domande.
“Dunque signor Madan, vediamo di ricapitolare…”
Vediamo di ricapitolare. Nel caso anche i mobili non avessero ancora imparato la storiella a memoria.
“… lei si è presentato qui asserendo di essere l’autore dell’omicidio della signorina Freja Poulsen, di anni 23, effettivamente trovata quasi sei mesi fa priva di vita nella sua automobile parcheggiata dalle parti dei giardini di Tivoli.”
Chapal annuì con un impercettibile flettersi del capo. Gli occhi rimasero ostinatamente chiusi.
“Dopo aver controllato i dati in nostro possesso circa l’ora presunta del decesso e le sua modalità, ci è stato possibile verificare senza troppe difficoltà che nel momento in cui la giovane stava morendo, e dico “stava morendo” e non “veniva uccisa”, badi bene, ebbene che in quel momento esatto lei si trovava presso il Politecnico cittadino, a 18 km di distanza, intento a frequentare la lezione di Analisi Matematica insieme ad almeno altri quaranta studenti tra cui il suo compagno di stanza e concittadino Roy Dhiman che ha affermato di ricordare perfettamente la circostanza.”
Chapal rimase immobile in ascolto senza aprire gli occhi.
“A quel punto, pur avendole noi trovato un alibi, diciamo così, suo malgrado, lei, signor Madan, ha creduto di perseverare nella sua dichiarazione di colpevolezza e si è prodotto in una storiella fantascientifica di telepatia e superpoteri dandoci ad intendere di essere in grado di uccidere, per così dire, a distanza, con la sola forza del pensiero. Sia detto per inciso che la sfortunata signorina Poulsen è deceduta per rottura di un aneurisma cerebrale di natura congenita.”
“Le è aumentata la pressione sanguigna, prima. E’ questa crisi ipertensiva che ha causato la rottura…”
“E quella sarebbe opera sua, immagino.”
Chapal annuì stancamente.
“In ogni caso, al di là dell’inverosimiglianza della sua storia, resta da capire quale possa essere il suo vantaggio nell’autoaccusarsi di un omicidio che non ha commesso…”
“Le dico che sono stato io.”
“… e resta inoltre il fatto che le sue ragioni di rancore verso la vittima sembrerebbero reali, ci siamo permessi di verificarle. Lei effettivamente conosceva la Poulsen e a quanto pare aveva buone ragioni di odiarla.”
“La prego di credermi…”
“Avanti, signor Madan! Che cosa sa veramente? Cosa è successo a quella ragazza? Chi vuole proteggere?”
Chapal fece un respiro profondo, come per raccogliere le forze, e poi si rivolse all’ispettore, parlando lentamente, quasi con dolcezza.
“Guardi Ispettore, è del tutto comprensibile che lei non voglia credere alla mia storia, io stesso ho durato fatica ad accettarla. Ma se solo per un attimo lei volesse ascoltarla fino in fondo, senza cercare per forza di trovarvi l’inghippo, la contraddizione, la ragione recondita, se fingesse per un attimo di leggere un racconto o guardare un film, si renderebbe conto che, per quanto folle, non esiste nessuna spiegazione migliore di quella che le sto fornendo io per capire tutta questa faccenda.”
“E allora forza! Sentiamola daccapo questa sua spiegazione perfetta.”
“Avevo 11 anni la prima volta che mi è successo. A quel tempo stavo a Delhi con la mia famiglia ed ero, non ho timore di dirlo, uno degli alunni migliori della mia classe. Ricordo che andavo molto fiero di quel primato.
Quella mattina in particolare, poi, si preannunciava piena di promesse. Avevo lavorato al compito assegnatoci tutto il giorno e avevo fatto ben di più di quello che mi era stato richiesto. Per questo ero certo che il maestro sarebbe stato particolarmente fiero di me e già pregustavo il buon sapore che avrebbe avuto la sua approvazione di fronte a tutta la classe.
Ma le cose inaspettatamente non andarono così.
Probabilmente vedendomi così ansioso di celebrare il mio trionfo o sentendomi già troppo sicuro degli elogi che credevo di meritare, il maestro si infastidì. Forse fu semplicemente un moto di insofferenza o magari voleva solo educarmi, fatto sta che prese a dileggiarmi di fronte a tutti i compagni e loro, tutti, dal primo all’ultimo, risero di me. Avevo voluto così bene al mio maestro, così bene, mio dio, tanto quanto male gli volli in quel momento, mentre stavo in piedi con il mio quaderno in mano e l’intera classe che si rifaceva quasi incredula di una vita di sconfitte e assisteva entusiasta alla caduta del primo, del pupillo. Tornai a sedere con il viso rosso e il capo chino.
Quando ebbi il coraggio di guardare di nuovo verso la cattedra non ero più il bambino che era entrato in classe alla mattina. Avevo subito un’ingiustizia, una vera ingiustizia. Guardai a lungo il maestro che evitava il mio sguardo, con tutto il disprezzo che si riserva alle creature ingiustamente crudeli. Dal mio banco decisi che, almeno dentro di me, quell’uomo era morto.
Fu in quel momento che il maestro impallidì, si portò una mano alla fronte, fece per alzarsi e ricadde sulla sedia.
I miei compagni cominciarono a rumoreggiare.
La mano tremante dell’insegnante raggiunse la campana che stava sulla cattedra e cominciò a scuoterla freneticamente. Dopo pochi minuti accorsero i bidelli che lo accompagnarono fuori dalla classe sorreggendolo per le braccia.
Io, unico impassibile tra tutti, rimasi ad assistere attonito al realizzarsi materiale di un pensiero. Ne rimasi sconvolto e affascinato al tempo stesso.
La mattina seguente ci comunicarono che il maestro non sarebbe più tornato e lo sostituiva un nuovo insegnante.”
L’ispettore si aggiustò nervosamente la sedia trascinandola sul pavimento. Scambiò uno sguardo con l’agente che scriveva al computer, si tolse gli occhiali e prese a pulirli con il fazzoletto rivelando uno sguardo denudato e miope, come smarrito.
“Da quel momento cercai di fare molta attenzione ai miei sentimenti e temendone le conseguenze me ne astenni il più possibile guadagnandomi la fama di bambino gelido e scostante. Fu lì, proprio quando non sapevo come avrei potuto continuare a sostenere quel personaggio, che papà mi comunicò che ci saremmo trasferiti in Danimarca. Fui subito felice. Ero certo, chissà perché, che cambiando ogni cosa quello strano potere sarebbe svanito. Che allontanandomi dai luoghi che mi avevano visto bambino e assassino anche tutto il retaggio di quel tempo stregato sarebbe svanito. Poi, poco prima di partire, successe una nuova cosa.”
“Senta signor Madan, io non so se lei crede di essere dallo psicoanalista. Il mio turno dura dodici ore e qui siamo già alla quattordicesima. Aggiungo che ho una moglie e due figlie e che quest’oggi è il compleanno della più grande.”
Chapal proseguì come non avesse nemmeno sentito.
“Raghu era mio amico da che avevo memoria. Quando seppe che sarei partito scoppiò a piangere e quando cercai di consolarlo mi baciò. Non so perché ricambiai il suo bacio. Non so perché accettai che stringesse in mano il mio sesso. Fu per pietà del suo dolore, credo. E perché volevo lasciare in India ogni cosa a posto e un buon ricordo di me dietro le spalle.
Ma non era ancora arrivato il giorno dopo che già avevo preso ad essere tormentato dal pensiero di quel che avevo fatto. Le immagini del corpo nudo di Raghu presero a torturarmi. Quando lo incontrai per strada e mi guardò con quello sguardo osceno, complice e trionfante, mi sembrò di impazzire. Desiderai con tutte le mie forze che non esistesse nessuno al mondo testimone di una cosa come quella che era successa, nessuno che mai e poi mai potesse sapere che avevo fatto quel che avevo fatto semplicemente rievocandolo con la memoria.
La sera stessa Raghu si sentì male e morì in maniera inspiegata e improvvisa. Aveva solo sedici anni. La settimana seguente partimmo per la nostra nuova vita.”
“Agente! Metta a verbale che l’ispettore Dahl non è intenzionato ad ascoltare ulteriori farneticazioni del sospettato il quale, invece di chiarire la propria posizione, pare confondere i propri pensieri con la realtà e le proprie proiezioni con fatti ed evidenze. Per tali ragioni l’interrogatorio in corso finisce qui, Venerdì 5 settembre 1997 ore 05:25. Il sospettato…”
“Freja ha voluto morire lo sapeva?”
“…pur invitato ripetutamente…”
“Lei mi amava, lo sapeva?”
“… e nonostante la palese falsità della propria testimonianza…”
“Lei era come me lo sapeva?”
L’ispettore si arrestò, si voltò e guardò Chapal da dietro gli occhiali.
“A sette anni la sua bambinaia, a quattordici la sua amica del cuore, un mese prima della sua morte, suo padre. Potete controllare.”
“Cosa sta cercando di dirmi signor Madan? Io sono stanco, lo capisce? Molto stanco.”
“La morte del padre sopra tutte non se la sapeva perdonare. Non c’era niente da rimpiangere in un uomo come quello, eppure non c’era verso di riuscire a consolarla. Si fanno mille pensieri magari anche terribili nei confronti delle persone che dovremmo amare per contratto, è un’ipocrisia, lo sappiamo tutti, ma non per questo siamo disposti a vederli messi in atto. E lei stava male. Male da morire.”
Mano a mano che ascoltava, dal viso dell’ispettore, lentamente, sembrava scomparire un po’ alla volta stanchezza.
“Ci amavamo, io e lei, e non era una cosa da poco. Eravamo uniti dallo stesso male, due lebbrosi che avevano l’altro come solo compagno. Poi, qualche giorno dopo la morte del padre, di colpo lei cominciò a non aver più cura di me, a cercare di farmi soffrire in tutti i modi in cui sapeva che avrei più sofferto.
Io non capivo perché si comportasse così e cercavo di non farmi ferire dai suoi colpi, come quando ti colpisce un bambino o un pazzo e ancora mentre mi colpiva la inseguivo cercando di proteggerla come si fa con un sonnambulo perché non si faccia male.
Un giorno mi chiamò mentre ero in facoltà e fece in modo, ora lo capisco, che io tornassi a casa esattamente quando voleva. Cominciai a sentire i mugolii provenienti dalla camera da letto non appena varcata la soglia. Mi affacciai su quello spiraglio di porta stranito come chi vive un sogno che riguarda un altro. Lei era a quattro zampe sul letto e quell’argentino, Abel, la prendeva da dietro.”
“E lei cosa fece signor Madan? Cosa fece a quel punto?”
“Quell’Abel era un essere disgustoso, una persona orrenda. Io lo detestavo con tutto il cuore e lei lo sapeva. Mi scoppiò una bomba in mezzo allo stomaco. Scappai, passai la notte in giro a piangere e così il giorno dopo e la notte seguente. Tutto era senza più un senso possibile. Alla seconda alba che mi trovava in strada mi dissi che dovevo reagire, dovevo trovare la forza di mettere in fila le cose anche se non ne vedevo più il significato. Mi lavai ad una fontana e andai a lezione. Fu lì, mentre ascoltavo cose che non capivo più e non avevano nessun interesse per me, che sentii di odiarla. Per quello che aveva fatto a sé stessa e alla nostra vita, per come mi aveva ridotto. Fu quell’attimo di odio purissimo e cristallino che la uccise, in quell’auto, come lei voleva.”
L’ispettore stava seduto immobile con un’espressione indecifrabile. L’agente continuava a scrivere con gli occhi fissi sullo schermo.
“Perché lei mi ha indotto ad ucciderla, lo capisce Ispettore? Lo capisce questo? Ha cercato in tutti i modi di farsi odiare da me e io ci sono cascato. Lei non voleva più convivere con questo nostro potere.”
L’ispettore si alzò, fece cenno all’agente di sospendere la trascrizione, si voltò, attraversò la stanza fino all’attaccapanni ingombro di cappotti e soprabiti, ne spostò alcuni fino a trovare il proprio e lo indossò.
“Non voleva più stare al mondo a questo prezzo e mi ha lasciato solo!” continuò Chapal con la voce rotta “E io sono stato nient’altro che uno strumento nelle sue mani! Maledetto! Maledetto me! Che ho distrutto l’ultima superstite della mia razza insana, la mia compagna d’odio, il mio angelo oscuro, l’unica in grado di capire il potere del risentimento e quel si prova a distruggere per sempre qualcosa solo perché ha avuto la sfrontatezza di infastidirti, di disturbarti, di esserti d’ostacolo. Maledetto per essermi privato con lei dell’ultima scintilla! Maledetto!”
L’ ispettore fece un cenno di congedo ai colleghi e si avviò all’uscita. Stava per aprire la porta quando lo stridore di una sedia strascinata sul pavimento lo indusse a voltarsi di scatto.
Chapal, pallido come un morto stava a terra in ginocchio e si stringeva la gola.
“Presto! Controllate che non abbia inghiottito niente!” gridò l’Ispettore.
Ma gli agenti non fecero nemmeno in tempo ad avvicinarsi che il corpo del ragazzo a bocconi sul pavimento aveva già smesso di muoversi.
Con finta solerzia qualcuno tentò una rianimazione e qualcun altro chiamò un ambulanza ma tutti sapevano benissimo che non c’era più nulla da fare.
“Cosa è successo ispettore Dahl? Sembrava un ragazzo così in salute!”
“Mah, sapete bene che non si può mai dire. Avete sentito il suo racconto? Dimostrava una psiche scossa e delirante. Sentimenti così consumano.”
“Ma non sarà mica che l’odio che provava per sé stesso, per quello che aveva fatto, che il suo stesso potere rivolto su di sé sia stato ciò che alla fine lo ha ucciso? Come gli altri, come il maestro, l’amico e la ragazza?”
“Smettiamola con le sciocchezze, d’accordo? E non lasciatevi suggestionare così facilmente, chiaro? Almeno se volete continuare a fare gli sbirri. Ora ditemi una pasticceria dove fanno bene le torte da queste parti, o vi scordate ferie e congedi per almeno tre mesi.”

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