Antonella Lucchini

anto

I versi di Antonella Lucchini, si allontanano dalla definizione tradizionale di poesia erotica, qui c’è un dolore che si fa passione, le parole come lame, scudisciate, diventano mezzi per poter entrare in un corpo e far uscire la disperazione e il tormento. Sono poesie psichiche. La pelle spesso è protagonista, organo di senso per eccellenza, “tessuto-involucro-protezione” che ha origine dal sistema nervoso, pensante. Pelle che sostituisce gli occhi, che sente e vede tutto, e si fonde con il proprio oggetto d’amore.

“Siamo pelli siamesi
io e il tuo fragore nudo
che mi fruga dentro.”

Colpisce l’uso sapiente di termini “forti”, onomatopeici, che all’interno del verso spazzano via tutti i possibili sinonimi, e sembrano nati per morire lì, incastrati perfettamente; le poesie di Antonella hanno origine nel ventre, un ventre di donna, ma passano attraverso una conoscenza molto approfondita della semantica, mai lasciata al caso.

“dovessi stendere l’amore
sarei la superficie distesa.

Sono con te
vicina a te più di te stessa

anche ora

che tu sei il boia
e io la decapitata”.

I versi arrivano come pugni ben assestati, eppure per entrare sembra ci sia bisogno di bussare delicatamente, sono porte che vanno aperte piano, una alla volta e sono tante, sempre più piccole ed invisibili. Questo perfetto bilanciamento e dualismo, a tratti ossimorico è spesso presente, e non confonde il lettore, anzi, gli mostra infinite possibilità e confini valicabili.
Antonella usa parole dure con una dolcezza inaspettata, che destabilizza, dosando egregiamente il verso esteso con l’ermetismo.

Sembra che ogni singola parola dica sottovoce al lettore“ fermati, chiudi gli occhi e sentimi con calma”
E talmente forte la sincronicità non solo fisica ma di tempi e luoghi vissuti o immaginati che è difficile pensare ad un amato e al suo amante come due individui distinti. L’autrice ha questo dono, diventa il sangue, l’arto, la superficie, si fonde con l’altro e con tutto ciò che ne viene a contatto, diventa essa stessa l’origine, il percorso e la meta dell’amore. Non solo la sua metà.

Rinasce più volte, lei, dopo aver toccato il fondo di un amore malato, cercando di strapparne le parti rimaste ancora sane, nella speranza ( che è comunque presente nei versi, viva e pulsante per chi può sentirla) di riviverlo, in modi sempre diversi. Allora diventa tutto un esorcizzare la paura della fine, fisica o spirituale, con parole-rasoio che si fanno sentenze per sé ( come dire e dirsi “basta”, “questa è l’ultima volta”)

“Nascere è un’esalazione,
rapida.

Ri-nascere è una morte risorta”

Amore circolare, amore che ritorna al punto d’origine, in cui la fine coincide con un nuovo inizio, che nasce nel sé. Un corpo che si sente tale solo quando coincide con l’altro, quando vi risiede dentro. “Nutriti di me”, sembra dire, “affinchè io possa vivere”.

Queste poesie sono un viaggio sensoriale, più simili alla musica che alle parole, seducono e rapiscono spalancando cancelli di mondi paralleli così vicini ai confini di piacere/dolore come fossero un’unica espressione.
L’amore con tutto il suo erotismo mentale tocca “la morte” ( intesa come fine non necessariamente fisica) con rispetto, accettandone le continue sfide e la malvagità, le assenze e i vuoti che permettono il fiorire di somatizzazioni a forma di verso che possono in questo senso entrare ed uscire solo attraverso la pelle.
Le poesie di Antonella si toccano, e si ascoltano prima di tutto, prima di essere ingoiate. Poi, in un secondo momento, quasi in una lenta digestione, diventano parte di noi, come i sogni e le speranze che si aggrappano alla parte sana della realtà cercando di eliminarne le parti marce, racchiudendole in un fantoccio da bruciare. Solo il tempo successivamente, potrà curare la memoria, quel tempo circolare, come la vita, come l’infinito cercarsi degli amanti, che eternamente esistono uno nell’altro anche dopo la fine.

Alessandra Piccoli

≈≈≈≈

Finito il criterio di aspettare
finito l’ingorgo dei dubbi.

Mi sei passato a fianco,
vedendomi,

restando come?

Trattenuto ingolfato eccitato inturgidito sedotto?

Non offro bonus di alcuna razza

ho già masticato e sputato tutto il tempo
da spendere
in attese mediazioni compulsioni

e frenato a fermate che puzzavano
di presa per il culo
troppe volte.

Mi sono sentita le gambe
ho scoperto che mi sorreggono

basta solo un po’ di esercizio.

Domani mi metto sotto.

Domani
puoi accompagnarmi

ma restami dietro.

≈≈≈≈

Siamo pelli siamesi:

io e il tuo fragore nudo
che mi fruga dentro.

≈≈≈≈

Ti sono sincrona
più di quanto tu voglia vedere

nella contemporaneità
di luoghi e tempi.

Se la città fosse in fiamme
sotto la neve che rantola a terra

il mio braccio
sarebbe col tuo braccio che la scansa.

Similmente

la tua bocca in attesa
sarebbe riempita dalla mia

o

dovessi stendere l’amore
sarei la superficie distesa.

Sono con te
vicina a te più di te stessa

anche ora

che tu sei il boia
e io la decapitata.

≈≈≈≈

Non dimentico.

La tua gola
è una cava di ghiaia

che svuoti

un sasso dopo un sasso dopo un sasso

in faccia a me.

“Sola. Voglio stare sola”.

Lo sei.

“Trattienimi o perdimi” (l’ho detto a te).

Hai deciso. Buona la seconda.

≈≈≈≈

Uomo che sai di me

atterrami
sulla fragilità che nascondi

– che io ti leggo –

e trapassami
di mani e di occhi.

≈≈≈≈

Un punto di partenza non è mai
indolore

(non si nasce nel sangue?)

Tutte le nascite che viviamo
in vita

dalla prima all’ultima
iniziano con la caduta, l’urlo.

Questa mia ultima
che vagisce di parole,

una genesi nata sulle morti
-thanatos athanatos –

è la più convulsiva,

epilettica creatura che si fa male da sé
per sopravvivere.

Si accoltella per vedersi più da vicino
nel dentro più inaccessibile

– il magazzino dei fantasmi –

Non si torna in superficie se non dal fondo

non si ricomincia a mangiare l’aria
se non dopo la claustrofobia.
.
.
.
Poi
lo scrivo, che mi sono vista,
che i demoni mi hanno parlato
e che, per il tempo di sverginare un foglio
e di farlo leggere

mi hanno sciolto le catene.

≈≈≈≈

Si forma quella figura

quando ti avvicini
e mi superi il viso.

Lentamente si scompone

nella tua bocca esattamente contenuta
nelle pendici concave
del mio collo

nella tua lingua
che risale e ridiscende

un numero di volte
pari all’estasi.

Non saprei dire
cosa ne sia di me
quando mi respiri dentro

quando giochi con la tua forza
curiosando in ogni mio strato.

Sento il soffio enorme
che si spezza nel mio.

Deve essere lì
che mi sento un corpo.

≈≈≈≈

Nascere è un’esalazione,
rapida.

Ri-nascere è una morte risorta

che ha bisogno
di più tempo
di più sangue.

Per questo ti bacio di labbra bianche
e ti stringo senza forza.

Mi devi lasciare il tempo
di spegnermi a fondo

(un fondo che non voglio tu veda).

Tornerò.

≈≈≈≈

Chiamo amore
l’amore che ho di te.

E lo amo.

Com’è.

Angolare.

Abissale.

≈≈≈≈

 

Antonella Lucchini nasce a Mantova, dove tuttora risiede, nell’aprile del 1964. Diplomata al liceo linguistico, dopo aver avuto una breve parentesi universitaria, lavora per un decennio, come segretaria, presso una grande azienda del mantovano. Ora è casalinga. La passione per la scrittura si affaccia al liceo, ma resta un esercizio personale, privato. Abbandonata per molto tempo, un paio d’anni fa ritorna prepotente, dopo una serie di vicissitudini personali, famigliari che, evidentemente, trovano nella scrittura, nella poesia in particolare, la via di fuga perfetta per alleggerire l’anima.

Inizia a pubblicare le sue poesie sul web (e continua a farlo), iniziando prima con la poetica haiku, dedicandosi poi completamente alla poesia tradizionale mantenendo però le caratteristiche di sintesi e di illuminazione (per dirla alla Baudelaire) tipiche degli haiku. Partecipa ad alcuni concorsi letterari, ottenendo premi, segnalazioni e l’inserimento di alcune sue opere in diverse antologie.

Agli inizi del 2013 pubblica la sua prima raccolta, “Tra morsi e strida”, per la casa editrice REI. “Il margine bianco” (Ed. DIVINAFOLLIA)  è la sua seconda raccolta, con la quale focalizza lo sguardo su Amore ed Eros.

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