calcio di rigore

la calda noia d’una fontana
nell’assolata noia d’una piazzetta,
come se fosse un cuore a mezzogiorno:
sbucciarsi i ginocchi, trovare la lucertola.
E’ tempo di tappi di bottiglia qui,
di barberie sepolte nella testa
scalini che portano passi
di antiche omelie.
Luglio di carta salata, da girarci epoche.
Vedi, qui terminava l’orologio,
la torre, le cosce di Evelina sul balcone;
da quì si scompariva nel mare
e il mare non finiva mai,
come le ruote del giro d’Italia
che avevano il silenzio
degli occhi di Angelillo.
La statale e dentro la statale i treni.
Io caricavo un’intera famiglia sulle spalle
una valigia piena di lucertole da liberare in città;
su di me contavano i morti e i vivi
e ora che ci penso anche il barbiere contava su di me
tagliava e raccontava e una volta tagliò talmente tanto
che nel paese non c’era più nessuno, tutti morti o partiti,
bartaliani purosangue nascosti negli specchi d’America.
Io non lo so se esiste l’America
che silenzio fa da lì a qui,
se c’entra il mare in questa piccola piazza
dove un vecchio si ferma e guarda una saracinesca
e tira qualcosa che somiglia a un calcio di rigore:
che storie tiene nella testa, da tagliare,
e che rumore fanno le storie
che battono su una saracinesca.

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