dicono che sono tanti – ciascuno un paradiso-
tutti nelle mani della fata bifronte
settantadue numerate senza buchi
senza frutti e due sole dita in forma di croce
il profeta smise di parlare mentre accusavano
campo e profughi appena sopra il fianco prima
dello zero, quando il boato evangelico avvertì i fedeli
dell’avvenuto sacrificio ma i pesci aritmetici
erano finiti senza lasciare odori
era un bluff giusto per trovarsi al matrimonio
ma gli antropologi s’intrisero di due tre coscienze
-più coscienze in una sola persona può confondere –
e a capire una trinità non fa bastare il vino né le palme
ma i soccorsi arrivarono in tempo disse l’editore
ben fornito di sacche per cadaveri speciali
eppure quando le chiesero il nome rispose senza remore
-sono Maddalena- da madre immensa
e molte pietre caddero dalle mani
sul dorso a sesto ottuso di un arcano
c’è un segno che sottrae, che disossa i martiri
e lancia un dolore e lo chiamano pensiero
come fosse l’unica forma di vita
erano tre antropologi e una stella
-Sofia, Sofia-
-sono Maddalena ho detto, ho una sedia per chi è stanco
ventuno braccia e un matto di riserva
e ci sarà un processo prima o poi
riuscirà a difenderci il corridoio ebraico più in alto delle mura
oppure Buster Keaton confonderà i segni senza sapere
che già allora certi peli crescevano al contrario?
vogliamo credere che il vento non ci porterà via
e che la riscossione delle parole andrà a buon fine
sempre che un merovingio non raccolga qualche sfida
arrotolata sotto spigolosi vetri al centro di Parigi
dove l’acqua somiglia a una madonna
e la luna è un cenno verticale senza code
chissà se a spaventarci sarà la sostituzione
dei riti deformati da certe intelligenze
per vizio o paura del corretto governo
e del giudizio ormai scoria