E su una domanda
così semplice e diretta,
che ho perso la mia voce
non trovo consonanti adatte
per riempire i vuoti
d’una risposta precisa
Potrebbe essere il cielo,
che apre le sue volte di sole
dietro una tenda nera sconfinata,
illuminandomi di mattina
poco prima del lavoro
Potrebbe essere un sorriso
che all’alba rassicura
come cenere pulita,
dopo le calde braci
dell’amore
o essere, l’insicurezza del domani
che apre le porte alle circostanze
e ad ogni chiave le conquiste
Dovrebbe avere gli occhi neri
e le braccia infinite d’una madre
la mia felicità, perché in realtà
ogni cosa vi partecipa
Ma, non ho risvolti ad una domanda
così importante, ed ogni fianco
della mia mente, stringe e poi si adegua
alle camice forzate dei digiuni
Poiché, non sono fatto per gioire
come fossi scelto a caso dal disordine
per interpretarne le sonorità gioviali
in fluidi elettroshock
Sicuramente, aspetto lo schiarire delle ombre,
il ritorno di piedi scalzi su ciottoli di fiume
lisci di dolcezza compatta
l’amaro sapore della sconfitta
che dilegua sulla lingua,
lasciandomi il cuore pulito
come il tempo
in cui gioivo
integro
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1 Comment
i versi finali, le ultime due strofe… dicono tutto il dramma di chi sapeva gioire, era umanamente felice… in un tempo lontano…
forse lontanissimo, ..ma stroncato da un dolore troppo grande, non sa più come riuscire ad esserlo…