da “Terra bruciata di mezzo (fra Vespero e Lucifero)” – Matisklo Edizioni 2013

Fingi d’incarnare le mie perifrasi,
scritte o barbugliate, nel tema
che questo prato sia un vero prato;
le tue dita vera carne ossa
e sangue, se ancora c’è del sangue
da offrire per fare rossa la notte.
Mi zittisci affondando
la lingua alle mie smanie,
rassicurata dalla mancanza
di un minimo segno d’affezione;
per quanto mi tocchi udire
le sirene delle volanti crepitare
basse basse alla costura
precedute dai riflettori azzurri
che vanno a prillare sugli ammassi
di solitudini coese…

…oppure vanno a fracassare
il dire e il detto dei poeti
tirati a notte senza siglare una sola parola;
e anche a noi è concesso lo scialo
di ciancicare lemmi in disuso
avendo negli occhi il brandello
di un rotocalco del secolo scorso.

**************

Nell’acuzie del chiaro
ci domandiamo il consueto che fare,
immemori che fare non è sapere.
Quando, mille e mille
anni fa, una dea contadina
s’aggirava tra gli agri latini sanando
le pozze per prodigare
le messi, una gioia composta
trapelava secondo le lune, imbrune
o polite, e le gramigne ardevano
di propria esuberanza;
mentre vivere fu allegro accidente
un gorgo di novità e lusinghe,
suadenti schiavitù tentazioni di lussuria
tra le vigne traboccanti e quella luna
lunettola lanina era di razza magalda,
e già fin da allora l’impresa più eroica
era stare sul pianeta che arrancava
mancandoci d’un soffio…

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