Donatella Maino

 

Foto D.Maino

Donatella Maino nasce a Pergine Valsugana, Trento, alla vigilia di un Natale del dopoguerra, da genitori relativamente maturi. Quando i suoi occhi si aprono al mondo vede solo rovine. Tutto il suo habitat è disgregato dalle bombe che hanno fatto di Trento, città di frontiera con presidio tedesco, luogo di tragici scontri con le forze alleate.
Trascorre l’infanzia e l’adolescenza nell’indigenza che poi canterà in un suo brano “Un mondo scomparso”.

In quinta elementare la maestra riconosce in lei l’attitudine a fantasticare con le parole attraverso una prosa dedicata a “X Agosto” di Giovanni Pascoli, poesia che stimola l’immaginazione dell’autrice, fino a farla diventare tutt’altro pur rimanendo nel contesto e nell’intento del Poeta. Dopo le elementari sarà “obbligata” a frequentare scuole ad indirizzo amministrativo dove, con grande fatica, otterrà il diploma di segretaria d’azienda. Le condizioni della famiglia non le permettono di andare oltre ma la sua grande passione per le materie letterarie la porteranno a frequentare assiduamente mercatini di libri che mai riusciranno a spegnere la sua sete per la lettura alla quale si abbevera quotidianamente in contrapposizione al desiderio dei genitori che la vorrebbero più attenta ai problemi famigliari dai quali rifugge incominciando a comporre brevi versi e considerazioni introspettive nelle quali realizza le sue prime utopie.

L’Italia stava risorgendo dalle ceneri, in pieno boom economico, Donatella Maino si scontra con il primo, vero grande dolore della sua vita. Il padre perde la vita in un incidente automobilistico, al quale, dopo un mese, farà seguito la dipartita della madre, malata di cancro.
Sarà l’inizio di un calvario, di un pellegrinaggio che la porterà a conoscere la fame e l’indifferenza dei suoi simili. Genova, dove vive la sorella della madre, con una nidiata di sette figli, è la prima tappa di accoglienza. In questa splendida città, Donatella, conosce il mare ed è amore, subito amore che la compenserà dai morsi della fame, inevitabili compagni di una quotidianità che divide una pagnotta di pane in dieci bocche da sfamare. Rimane quanto basta per capire che il peso della sua presenza incide notevolmente sulla famiglia. Ritorna a Trento ospite di un’altra zia che sta vivendo la realtà agghiacciante della malattia, in fase terminale, del marito. Rivive la perdita dei genitori da poco subita e conosce e s’aggrappa al ragazzo col quale, dopo un anno, si sposerà. L’anno precedente il matrimonio lo trascorre in casa del fratello, di quattordici anni maggiore di lei, sposato e completamente fuori da ogni problematica riguardante le necessità affettive della sorella. Donatella Maino si sposa in un giorno di maggio, splendente di bianco, bagnata di chicchi di lacrime per le assenze ingiustificate.
Da Parigi arrivano notizie delle prime manifestazioni di piazza, in Italia i giovani lavoratori e gli studenti rispondono con i tamburi, a Trento, la Facoltà di Sociologia viene occupata dagli studenti, è l’anno 1968. Indottrinata dal padre, attivista del Partito Comunista Italiano, quando la bianca Trento (Città dei Principi Vescovi e del primo Concilio Ecumenico) dichiarava che i comunisti mangiano i bambini, Donatella Maino svolta all’estrema sinistra, abbracciando l’idea del P.S I.U.P. (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) e, benché sposata con un uomo “incolore”, indossa un eskimo e sfila per le vie cittadine urlando gli slogan inneggianti al Che e alla rivoluzione che emancipavano la donna fino a scrivere sugli stendardi “l’utero è mio e me lo gestisco io”.
A Trento nascono le Brigate Rosse con a capo Renato Curcio che porteranno l’Italia a soccombere alle varie manifestazioni di terrorismo, non ultima l’uccisione dell’Onorevole Aldo Moro. In questa totale confusione di ideali esasperati, l’autrice scrive e legge qualsiasi cosa le capiti sotto mano, compreso il Libretto Rosso di Mao Tze Tung e aleggia sempre più nei suoi scritti l’utopia di un mondo veramente migliore. Nel suo incedere si ritrova ad aspettare un bambino, Luca che nascerà in un clima famigliare già minato dalle incomprensioni coniugali.
Accolto con grande amore, il figlio ridimensiona le velleità politiche di Donatella che l’avevano vista in piazza a schivare manganellate della polizia che caricava i dimostranti almeno due volte al giorno. Consapevole del suo ruolo di madre si dedica anima e corpo al piccolo essere che le sta cambiando la vita in positivo. Getta l’eskimo in soffitta e tenta di immergersi in una quotidianità appagante, è il periodo dell’amore filiale, di liriche che tutt’ora il figlio conserva come dimostrazione di una madre un po’ sopra le righe ma che elargiva a piene mani tutto l’amore di cui era capace.
Donatella Maino si separerà dal marito quando il figlio avrà circa una decina d’anni, vivrà di lui, solo di lui per molto tempo, lo accompagnerà al matrimonio col cuore spezzato ma convinta che abbia tutto il diritto a formarsi una famiglia.
Nel 1996 le viene riscontrato un cancro maligno per cui subirà l’intervento con conseguente mutilazione del seno ma con l’incoscienza o il coraggio che l’hanno accompagnata tutta la vita, rifiuta categoricamente la chemioterapia. Ripudiata, per l’accadimento, dal compagno di allora decide di chiudere anche la seconda esperienza affettiva.
Nel 1999 nasce il primo nipote, Riccardo, al quale si lega a doppio filo rivivendo la propria maternità. Nel 2005 un altro fiore, Simone, viene a far parte del giardino di questa donna che tanti semi ha sparso nel crudo terreno della vita.
Nel 2000 ritenta la sorte con l’uomo che crede di aver aspettato da sempre, l’incastro cosmico perfetto. Si risposa nel settembre del 2005.
Sempre nel 2005 (anno veramente proficuo…) pubblica la sua prima raccolta di poesie con la Casa Editrice Il Filo, titolandola: “Di rami e foglie”, quasi a perpetuarsi nelle stagioni, nei cicli della vita e nel 2006, in autoedizione con la Lulu.com americana, pubblica: “Il peso del cielo”. Il 18 luglio 2008, sempre in autoedizione con la Lulu, pubblica “Bianco crudo”, testimonianza di vero dolore subito nel 2007: perdita dell’unico fratello (ultimo membro della sua famiglia) perdita di Paolo, compagno di un lunghissimo pezzo di vita (18 anni di convivenza), grossa crisi di rapporto con il suo adorato figlio, a novembre, esattamente il giorno 3, subisce un infarto. Ora, Donatella Maino, impegna il suo tempo lavorando presso la Provincia Autonoma di Trento per il Servizio A.P.E. (Agenzia per l’Energia), per non perdere completamente il contatto con la realtà, dice lei… e nel tempo libero si dedica ancora alla scrittura… contando le pastiglie… tante, troppe…

“L’ipotesi” (2009) è l’ultimo piccolo libro che raccoglie circa diciotto brani, autoeditato, sempre ultimamente, con la Lulu. com

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  • poesia all’inguine

 

è al centro del cerchio

il santuario del castigo:

dove ogni notte getto via pelle e occhi

da cerbiatto.

 

è l’amore che si scioglie nell’amore,

è il possesso che si stacca dal possesso,

pellegrini spogli di ritegno drenati

dagli anni infittiti;

 

voglio essere molle, duttile cera,

quando il principe del mio regno

si concederà al piacere della smania.

 

nel vecchio repertorio saremo amanti

di cartone che s'(offrono) fiori artificiali:

 

la poesia all’inguine

è grembiale di foglie color del minio,

parole in delirio alla mano

che ora scrive in terra battuta.

 

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  • Venezia

 

uccido in me l’infinito, lavoro d’ago

a cucire vecchie costellazioni

che s’aprono alla rugiada lunare.

 

percorro volti dimenticati

respirando l’erezione della croce

che come lingua s’insinua fra le labbra

in triade d’amore

nella Venezia di un’epoca

slegata, imprigionata

ai miei piombi interiori.

 

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  • Canto

 

mi volevano bene le tue mani,

 

la tua saliva si tingeva di rosso

come una canzone stempera la vertigine

di un tempo maledetto.

 

ora ti scrivo, ti rido, ti piango

come una pazza anticipa

l’avvenuto teatro della notte.

 

alberi mi attraversano il cuore,

il tuo odore di selvatico

è l’arpeggio di un gemito,

 

il soffio d’aria a mulinello

m’alza ancora la sottana.

 

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  • vecchia

 

contusioni sulla fibra viva,

bianca, indifesa, fatta a pezzi.

 

lancio occhiate a destra, a sinistra,

tutto ciò che non possiedo sarà mio figlio.

 

voglio stare sotto l’albero d’arancio

quando il gatto salta nella borsa

e soffia vuoti tra una parola e l’altra.

 

è la voce primordiale che vibra

nell’orecchio del presente.

 

Mi hanno chiamato vecchia nel loro inventario.

 

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Commento di Alba Gnazi

 

 

‘’Tutto ciò che non possiedo sarà mio figlio’’

Ho letto,  riletto,  aspettato e quindi letto di nuovo. Per assorbire al meglio questi versi : e non a caso ho scelto questo (‘’Tutto ciò che non possiedo sarà mio figlio’’) come introduzione al mio breve commento. Perché quelle che Donatella ci propone sono Poesie che narrano storie.

 Una storia: la sua, di donna che al femminino affida percezioni e certezze, quella di tempi e luoghi che si aprono e fanno memoria.

La nostra: quella di volti e pensieri, passioni e nostalgie che ci osservano e spesso ci preservano – una Venezia rarefatta, ad esempio, con foschie insistenti, penetrante nel suo stagliarsi muto, anche nel ricordo -.

Versi brevi, che condensano la forza e la vulnerabilità dei sentimenti, che squarciano i veli su una sensualità avvertita quale quid per quegli stessi sentimenti: il sensus che oltrepassa la carnalità e investe fibre e dinamiche interiori; il sensus come passione dominante che consente la conoscenza di sé e dell’altro; che annuncia una completezza sempre là da venire, o spesso raggiunta e modificata, ricostruita, smembrata perché (e la Poeta lo sa) il sensus perimetra i giorni e le scelte, ed è inesorabile.

Un unicuum di lievità e determinazione, questi pezzi, calibrato sulle istanze interiori più profonde, che travalicano la singola poesia e l’individualità dell’artista per congiungersi in un disegno ampio, innestato sulle atmosfere ispirate dalla natura, dalle esperienze umane di più ampio respiro, quelle che segnano il passo e inchiodano il tempo, che si ripetono per trovare riposo, che la memoria non annulla ma celebra, in un cerchio cui la Poesia dà voce e che la Poeta ascolta.

 La Poeta ascolta, interiorizza, vive coi suoi modi (‘’parole in delirio alla mano’’) nei suoi luoghi, reali o metaforici (‘’[nel]l’avvenuto teatro della notte’’) le esperienze e le percezioni di cui sopra; rende proprio ogni moto e ogni battito; elabora, scontorna, sonda e  sorride di sé, delle sicumere, delle debolezze, del tempo che scorre (‘’mi hanno chiamato vecchia nel loro inventario’’), delle decadenze che pure rendono belli e tenaci i corpi : perché questo la Poeta deve e può. Perché l’ascolto del  sensus è anche questo. Perché la Poesia richiede (anche) questo.

5 Comments

Ringrazio di cuore questi cari amici che hanno voluto omaggiarmi,
inserendo alcune mie opere nel Blog Bibbia D’Asfalto.

Alba Gnazi ha impreziosito il mio narrare con una splendida recensione.

Un abbraccio ad Alba ed a Enzo, fantastici!

Donatella

Si dev’esser grati alla Maino per l’uso di una lingua polita e tuttavia terragna che scava nella terra come nel proprio cuore regalando pietre preziose. Una poesia di cui nutrirsi.

Grazie, mi sei tanto caro, non solo per i commenti positivi che apprezzo e assorbo fin nel midollo ma per come ti esprimi, le tue impressioni lasciano una scia profumata di sapienza. Un abbraccio affettuoso 🙂

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