EDUCAZIONE SESSUALE

Da molti anni mi capita di insegnare, saltuariamente e in forma volontaria, qualcosa che potremmo chiamare “educazione sessuale” ai bambini delle scuole medie ed elementari che me ne fanno richiesta.
Assolvo a questo compito, che mi sono dato da me, con il massimo impegno e con la maggiore attenzione di cui sono capace perché trovo che sia una faccenda di grande responsabilità tenere per mano una giovane mente quando attraversa il confine di un mistero che deve svelarsi con naturalezza, grazia e, se ci si riesce, con la minor dose d’angoscia possibile.
Da parte loro devo dire che i miei giovani allievi non hanno mai smesso di ripagarmi con la loro attenzione e con una partecipazione entusiasta alle nostre piccole chiacchierate che talvolta assume toni di una forza inarrivabile, come spesso accade a quello che manovrano i bambini.
Ricordo, qualche anno fa, la reazione di un bimbo che aveva appena realizzato, come inevitabile conseguenza delle mie rivelazioni, che il padre e la madre quasi certamente avevano l’abitudine inspiegabile di fare l’amore continuamente, anche senza un obiettivo preciso, e non si erano limitati ad unirsi carnalmente quell’unica volta che avevano voluto concepire lui, peraltro figlio così unico che più unico non si può.
Lo rivedo come fosse adesso congelarsi in un’espressione di grande stupore e poi subito, come accade alle menti a cui si aprono nuovi orizzonti, prendere a collegare ricordi, che sembrava di vederli galleggiare per aria, sopra quella testa tonda dai capelli a spazzola.
Giunto alle sue nuove certezze il ragazzino aveva sentito il bisogno di metterne a parte me e insieme a me tutta la classe.
“Una volta io ho visto la mamma e il papà che facevano l’amore!” aveva esclamato tutto fiero, come a rassicurarmi della giustezza delle mie teorie che, per quanto bislacche, evidentemente dovevano essere vere.
“Succede, caro, e tu cosa hai fatto?”
“Ero entrato nella stanza e ho visto la mamma che stava sopra a papà. A cavalcioni!”
La classe aveva preso a ridacchiare ma al nostro piccolo eroe in piena rievocazione di shock edipico, non sembrava importare nulla.
“A quel punto la mamma ha tirato un urlo e si è coperta perché era tutta nuda e mi abbracciato. Papà invece non ha camminato per più di un mese!”
“Come sarebbe a dire che non ha camminato per più di un mese?”
“E’ saltato giù dal letto come un tuffatore e si è rotto un piede contro l’armadio.”
“Ma davvero?” restare seri richiedeva le doti di un bramino dopo anni e anni di percorso ascetico.
“Si! Si! Gliel’hanno ingessato tutto e poi mi ha fatto promettere di non raccontare a nessuno come era successo!”
E’ anche capitato che i racconti dei bambini si tingessero di una vena noir.
Come quando quella bimba dai capelli rossi volle fare il suo intervento nell’ambito di una discussione sulle mamme e i papà che a volte non stanno più insieme.
Aveva tenuto il braccio dritto dritto in aria per molti minuti saltellando per la voglia di essere ascoltata. Quando finalmente le avevo dato la parola aveva così narrato all’intera classe da me zittita allo scopo.
“Maestr.. ehm, dottore?”
“Dicci tutto”
“Una notte mi sono svegliata per le urla. La mamma teneva in mano il telefonino di papà, e continuava a dire “Chi è questa Put…puntini puntini? Posso dire la parola?”
“No, amore, è meglio di no”
“Chi è questa Sabrina? E papà diceva non lo so, non lo so, ma era tutto rosso e balbettava e sembrava avesse paura. Io ero molto stupita perché non credevo che papà potesse avere paura della mamma”
“Be’, vedi, a volte i grandi…”
La piccola proseguì senza nemmeno ascoltarmi in preda alla sua furia narratoria.
“Allora la mamma ha cominciato a piangere e a picchiare papà e io non capivo perché era lei a piangere se era lui che prendeva le botte. Alla fine la mamma ha rotto il cellulare sulla testa di papà e poi lo ha medicato e gli ha fatto tutta una fasciatura con il ghiaccio che sembrava il turbante di un pascià”.
Indubbiamente la presa di coscienza, quando è collettiva, perde molto del suo potere angosciante e il constatare che certe verità sono comuni a tutti i propri amici e compagni, le demitizza, le ridimensiona, con buona pace di tutti. Ma i maggiori beneficiari di queste nostre chiacchierate rivelatorie, ho dovuto constatare negli anni, non essere in realtà i bambini ma i loro genitori. Lo si vede chiaramente dalle espressioni di sollievo con cui prendono la mano dei figli all’uscita da scuola, dopo le mie piccole lezioni, per sempre esonerati dal compito di dover affrontare, con bocca impastata e sguardo rigorosamente rivolto a terra, il tremendo momento di “ora che sei grande la mamma (il papà) ti deve spiegare una cosa”.
Anche se la delega può rivelarsi un arma a doppio taglio, come sempre quando si ha a che fare con il candore spietato dei bambini.
“Adesso lo so che cosa fate tutti i mercoledì mattina tu e la mamma mentre io sono a scuola!” ha gridato non molto tempo fa al padre in mezzo al piazzale gremito di genitori un mio piccolo allievo, indicandomi con espressione raggiante “Fate l’amore tutti nudi senza fare i bambini! Me l’ha detto quel dottore lì!”.

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