Etica e subbuteo

limitarsi a questo
spettacolo inutile
di forme, figlio mio,
a questa laida pièce di gomiti e fianchi,
a queste larghe intese di labbra
che scoccano pare
da lusinghe barocche,
non vorrei tu mai cadessi:
conoscere a memoria
la parte
piazzando uno specchietto
per uscire in retromarcia
dal vuoto tenue patetico ossario di mimiche facciali, ecco,
non è sollievo:
sarebbe meglio dirseli i verbi,
tirare pane al pane, vino al vino
sentire la distanza negli occhi,
cavarli dal cuore i cavilli del bene aumentare
quel tanto la vertigine
che pesa tra parola e parola,
il suo destino di brace
ai piedi di un inverno qualunque,
fiaccare il dramma della perfetta ragione.

Sappi da te
resistere ai rituali vani,
togliere i vestitini ai cani,
gli occhiali ai visi tagliati nella pietra;
farli durare dentro
i sorrisi, girarci la notte
avere sempre un dubbio da comprendere, una nuvola.

Sai
la vita ci diminuisce
se non abbiamo un cuore intelligente
e una parola altra
a commuoverci
davvero.

Ora sediamoci sul pavimento io e te
costruiamo una porta di carta
facciamo due tiri con le dita
alleggeriamoci
giocando.

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