Spiare dall’occhiello i miei movimenti lenti e notturni
il pavimento caldo di sbratto mattutino
le mani congiunte di pasta frolla a-sintomatica
plastica non sentita
gabbiano che urla amore lunatico
divoratore di crampi isterici
la tua gamba di legno Infomarley Stomp
è questo il modo in cui farfuglio il tuo nome nel cuscino
Terremoto nano che piomba in un abito nero
forse è donna, l’avevo già vista qualche mese fa
adesso s’è riempita e con molti pesi nostalgici la mia paura
mi sfreccia davanti
Rendi la mano frenetica e continua a fagocitare
ciò che era prima e quel che rimane della foresta
Foglie dipinte in modo grossolano
con pastelli verdi e acrilici sciolti nell’umidità
accoppiamento non standard nel rumoroso deglutire
di bestie femminili
fili di luce un luminal verde aspro nell’andare cieco
Tornano e sbattono code
riflessioni apolloniche con cui trainare il verme solare in cielo
la bambola di chi ssìsente solo accoppia le mani in una preghiera sessuale
che non permette di evidenziare volti
intanto il becco del colibrì penetra morbido nel fiore arancione
i colori sono così disco fluo che la foresta trattiene il respiro e perpetra in questo
modo oscuro e soffocato fino alla morte del buio
Alba disincrostante adesso monumentali zanzare
il mondo è un bangladese dal sorriso storpio che tiene un maiale
tra le dita scure e lascia colare la merda nelle fogne anti-parigine
Se mi giro per un istante a sinistra vedo la grande stanza
e dentro siamo tutti soli
il quadro appeso raffigura fiori meravigliosi,
mio assassino
Finto ladro dai guanti bianchi
lascio che tu ti sciolga lento nel ruscello
proprio in mezzo al petto della mia foresta
intanto penso forte e con un certo sovraccarico
di epilessia momentanea a puttane di melassa
sorrisi demoniaci nelle fronde di TevereGabbiano
come verrà denominato il flagello della non gelosia
per ingiustizia verosimile del mio impensabile stato convulsivo
di ritorsione acustica e visiva e tì apro le gambe davanti
cosicché tu possa scorrere dentro me e l’Universo mi tradisca
perché è così che mi sento
ma sono io che ho baciato cazzi sconosciuti o poco amici
in nuvole invernali sopra terrazze corrosive
la vista era abbagliante e ci mordevamo le labbra corrotte
fino a farne scorrere sangue vivo
lì dove ho assassinato coi miei guanti di garza
tutti gli amici episcopalfinti,
sacerdoti e papi per nessuno
Polpa Di Regina entusiasta
è questo il netturbino fantasma che ci spiegherà a voce bassa
da dove siamo finiti
niente negativo questo modo di spazzare via piccioni morti
tranne un leggero senso di diarrea a pensar le viscere che bruciano intorno al nulla
Ma fu e sarà un falò di cerimonie antiche
e fottiscopa sega metafisica grande colosso peniforme
tutto ruota intorno al buco prostatico
Mi viene in mente lungo questo viaggio serpentino
nei meandri irrisolti della mia fronte pulsante
che non appartengo a niente
non a censure di cervelli asportati
non ad amabili sorrisi per serate vampiresche
non a bar in centro con fontane e monetine d’acero
non a correnti letterarie sincopate o lineari
Tutto in cassonetti deformi
perché c’è da stampare e buttare via
imprimere il proprio nome insignificante
Ma lei sputa dai polmoni aria pura
che attraversa il flauto puntellato di diamanti
tiene stretta nelle unghie vermiglie una machine du valzer
non a colori nella quale una titanica zanzara piscia stando a stento in piedi
in un sudicio cesso del bronx
La città di Telfi straripa di uova e meccaniche
L’elefante acidulo parla cortesemente alla Tour Effeil
la palma sepolta dei nostri cuori intinge la testa nella ragnatela,
Ed io cammino nuda nel vento pluviale.