A Gianturco non c’è vento

dentro Gianturco non albeggia mai:
puzza di copertoni bruciati nella notte.
I cinesi hanno la lingua dei gatti nei loro nomi italiani
parlano secco, non si raccontano, mangiano e vendono contemporaneamente.
Marco mi fa capire col sorriso che è felice:
è un beone furbo con due draghi morti negli occhi.
Io lo so che sono morti ma loro fanno finta di dormire
ogni tanto mi guardano
e hanno lo stesso colore dell’asfalto sporco dietro gli occhiali della stazione;
nessuno parte da qui ma tutti ci girano dentro
e fanno figli come i gatti che non muoiono mai.
Ogni mattina la vedo la faccia di Marco
questa Gianturco senza ossa
saltare sopra il fuoco che avanza e poi svanire nel vialone senza case
senza nemmeno un gabbiano che ci voli a mezz’aria
per far finta che il mare stia vicino.
Oggi non ride neanche. Mezzo capannone saltato. Neanche una puttana in aria.
In cielo c’è la SuperLuna.
Il rumore del mare spacca i denti ai cani che fanno l’amore,
un ossicino ancora mi brucia tra i piedi, guardo l’azzurro scombinato che nasce sopra i fili.
Se fossi un bambino sputerei nel vento
ma non c’è neanche vento qui.

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