Giovanni Perri

bio

Il lettore deve sapere, leggendomi (leggendo questa non-biografia dalla quale estrapolo che nasco a Napoli e ci vivo col pregio d’arricchirmene fino a smarrirla) che un po’ della mia poetica (ammesso che sia tale) risponde al desiderio, non del tutto cosciente, d’allargare il mio ipotetico dolore,  la mia svagata gioia di vivere, e tutte le mie infinite miserie, ai piani più alti del sogno e della bellezza. Ogni poesia è un’occasione di sogno e di  bellezza. E la bellezza è un lavoro paziente di scavo. Io sogno di essere  archeologo e  scultore: levigo negli affanni e a volte mi trovo a scoprire che la vita  è un’invenzione  stramba dei poeti  che tutto sanno fare fuorché  vivere. Posso dire che tutti i testi (e così anche i miei che non disdegnano ambizioni poetiche) hanno una derivazione musicale: perché  se c’è  in poesia una cosa che si da’ nel suo stesso prodigioso darsi, nel suo restituirsi in forma d’emozione e vibrazione d’anima,  è la musica, che è parte stessa del vocabolo, come il rumore di fondo di una giornata o di una vita: e musica è un uomo solo, nello spazio siderale, un uomo morto o vivo dentro al tempo di un attimo,   oppure  tutti gli uomini, e tutti gli elementi, i drammi e le afflizioni, le meraviglie  della pioggia, un mare increspato che ti toglie il respiro;  un bambino.

Poesia mimetica e riflessiva, umbratile, ritmica, geometrica; poesia lunatica, ingenua, scenica (mi piacerebbe fosse, se fosse veramente,  poesia) la mia.

..in fondo cosa chiedo.. 😉

 

Mi si può leggere sulla mia pagina personale di scrivere.info :  Giovanni Perri

 


  • LA MOSCA

 

Io sono una mosca:

il suo occhio catrame impazzito

che gira e rigira il lampadario;

 

ricamo spirali a questa noia

che è pozzanghera metallica del cielo

imbuto di fosforo e argento.

 

Entro persino negli specchi

e poi sparisco

in qualche nervo teso del collo.

 

Questo è il mio mestiere:

rompere gli assi cartesiani

centrare rovelli poetici

vibrare di seta gli escrementi.

 

Io non ho le idee chiare:

sono l’assente di turno

verde plastica umida

che cade a gocce

in un tempo grammaticale.

 

Sono talmente una mosca

che sono un lampadario:

intelligente e imprendibile

ottone barocco

che detta temporali e scrive.

 

Se ho un sogno lo numero col gesso alla lavagna

per me l’amore sono due vetri sudati al posto degli occhi

un palmo aperto su una spalla

due cerini accesi alla felicità

 

e questo non solo

di più ancora

intendere pioggia e mosca

in uno stesso verso.

 

  • IL CUSTODE DEL CIMITERO

 

Uno che attende l’altro. Da sempre.

Con l’occhio angolato sui gatti che non sanno niente

come se fosse un rubare o un rovistare o un nascondere.

 

E’ tutto un chinarsi qui

riempire di lamenti le giacche

i foulards le foglie

e questo tempo che cade da fontane

a gocce

 

Una vita

dieci vite

cento vite

mi manca sempre un numero.

 

Ieri è toccata al vecchio professore

lo hanno portato alle tre del pomeriggio

è una buona ora le tre del pomeriggio.

C’erano tutti i figli e i nipoti

e la moglie

che se lo porterà tra i denti d’ora in poi.

 

Che pena questi vivi

che piangono la loro morte

con fiori che attendono millenni

 

mi serve solo uno scaletto nuovo

un paio di scarpe sorde

un giravite

devo avvitare un paio di lettere cadute.

 

Che meraviglia questo vento

e questi uccelli che cambiano rotta

e questi bimbi

che giocano a rincorrersi tra i morti.

 

  • IL VERSO

 

Interi prati in bocca

un masticare e ingoiare e poi scrivere

come se tutto il verde lo portasse il vento in forma d’alberi ed ogni lettera

uscisse ubriaca da un gioco di sonagli alla gola

 

Io non esisto

esiste solo la misura dell’amore che mi nomina

oppure questo suono che io bevo e fa scintille sulla lingua

 

Se fossi davvero un verso

mi terrei stretto alla schiena del vento

 

 

  • TEMPORALI

 

Essere appena concepibili

non dico misurabili da ciglia a ciglia da lingua a lingua non dico musicabili

come fiati o mani o tamburi

essere quasi originari come forme d’acqua

 

appena in tempo a scriversi addosso argini e correnti

tenersi ai fiumi ai mari ai quarti di luna dove si muore a galla di abissi o vertigini

essere orgasmi in bocca alla letteratura

 

questi lembi che azzardano regioni

che infilano lentezze

combinano di braccia e ginocchia a perdersi

tempo di colle e grovigli

 

scoppiano dentro agli occhi

scoppiano dentro ai baci i temporali

 

  • FLUIRE

 

spiegami come si dice il tempo

dimmelo piano in un orecchio

come scompare un corpo di parole dalle mani

noi che varchiamo soglie di alfabeti siamo d’elenco alla luce

e lo sentiamo sulla lingua il dolore

questo rumore di fiume

che ci sposta

 

  • SENZA TITOLO

 

E’ una vita che coltivo pianeti. Crescono lentamente sotto la pianta del piede e formano tra me e la terra costellazioni a perdere. Alcune rotte prendono fuoco altre affogano e io non so se questo vedere e sentire ha un nome oppure la deriva è stare qui seduti mentre piove. Intanto me la scrivo la forma del cielo. E me la vedo pure negli occhi come una pianta larga che germoglia. Come una ladra pozzanghera. E sento pure il rumore della ruota. La sento che gira il tempo e lo consuma e lo complica.

E’ che non ci guardiamo abbastanza, negli occhi, dico, non abbiamo mira. E non sappiamo ridere da soli, o piangere o fottere o scrivere. Siamo dentro uno spazio osceno e abbiamo antiche paure. Per questo diamo nomi alle cose. E le chiudiamo in un palmo e le ingoiamo.

Questo per esempio è un succo d’arancia e viene da sud, e sale garbatamente aspro ai fianchi e se tu me lo dai io lo bevo guardandoti. Perché il sogno mi tocchi la gola e si espanda.

 

C’è un estremo da dire sempre tra un piede e l’altro

un fosso pieno di comete a cui si arriva piangendo.

Ricordalo:

l’amore è un orto inconcluso

 

  • POESIA N.11

 

Oggi sono morto undici volte

undici linee orizzontali sulla fronte

coni quadrati cubi

persino rettangoli

persino grappoli d’aria incolore

 

alberi su alberi tra i capelli

(una sequenza di rami indisciplinati)

rappresaglie di mani e piedi

e attriti di ebano negli occhi

nomenclature che premono ai confini

 

si può morire di grammatica o di geometria

finanche d’una semplice equazione

finanche un regolamento è un attimo di morte

uno specchio, il dorso d’un foglio, una ruota di gomma sull’asfalto

un complimento al cappello

non si contengono

 

sono morto alle cinque del mattino nelle finiture di una sveglia

sono morto al lavoro per otto ore di fila

(tra una morte e l’altra di soffitto, pavimento, e finestre aperte all’azzurro di luglio)

sono morto all’ipermercato

(sono morto vedendo gli occhi morti della cassiera)

sono morto perché i gabbiani, nella mia città,

e i manifesti elettorali, finanche i cantieri del metrò e i fili del tram

sono morto perché ho smarrito la chimica e la geografia

sono morto al semaforo

(pochi alberi, poco cielo, catrame e corvi, molti corvi, una sfilza di balconi nauseati e scaglie di clacson)

sono morto in trattoria

(miniere ortogonali di metallo, nessun odore o sapore meglio gatti randagi e nespole che siano nespole)

sono morto per mani secche come coralli

(mani educate, sceniche, ritmiche, oracolari)

sono morto per vestiti

(vertigini di luci al neon, manifesti di antiche civiltà)

sono morto per conteggi d’andata

(un’invasione di ricordi)

filastrocche, sentieri, fili di rame e argento.

 

Se guardo d’intorno

se guardo il cielo satollo di nuvole

oltre campi spinati e altri indizi

si spia da sola la morte.

 

Come un cane io sbuffo dal naso

il mio ventaglio di nodi

il senso osceno dell’amore

che mi prende.

 

Commento di Alba Gnazi

 

‘’Se fossi davvero un verso

mi terrei stretto alla schiena del vento’’

 

Va via in un lampo, il tempo, quello che serve e quello che non si nota, quello che investe e quello che si ritma con un piede.

 Va via in un lampo, e tu lo fermi in un verso – anche se stretto alla schiena del vento – lo fermi in un verso o in un’impressione, lo fermi e lo stendi con l’ironia.

Quando il tempo ti vede passare, Poeta, forse sorride.

T’inchini alla parola e le fai il baciamano, scrutandola di fino, ammirato, sorpreso: ne spolveri con zelo vicissitudini e scontentezze; la porti sul fianco; la blandisci, la sogni e la rovesci con sapienza e misura: miscele dense di parole ti devono il loro incontrarsi, quel loro sfiorarsi che sembra quasi autunno – parole roche di foglie e crepuscoli – che sembra quasi mare – parole allegre di risvegli e risa – che sembra quasi amore – e tolgo il quasi, perché amore è richiesto per nutrire le parole, e l’amore scontorna i confini dei tuoi versi, ti stringe le ossa, ti mostra luci che sai; sei un archeologo, e sei uno scultore, e con pazienza e tenacia lo stai ad ascoltare.

Narri di mosche, di guardiani, di bambini; di vecchiaie avvizzite, di morti che ondeggiano: nel flusso correggi il tiro di sponda, scuci l’orlo alla malinconia e l’accomodi su un sorriso.

Che sia adesso, che sia prima, che sia domani o un ricorrente sempre, tu ‘’coltivi pianeti’’ – con un occhio alla prosa, tenendo buona la poesia – e muori undici volte, corteggiando la vita innocente come un cecchino, come un bambino che corre tra le lapidi; come i tuoi versi che invadono il bianco del foglio, inarrestabili, protervi quasi,  e poi  li sforbici cauto, li condensi e li trattieni, sconfessi retoriche come culti dimenticati, conscio di antichi pesi, di antiche voci che echeggiano piano: e tutto porti con te, tuo malgrado (forse) ma col sorriso:

Io non esisto

esiste solo la misura dell’amore che mi nomina

oppure questo suono che io bevo e fa scintille sulla lingua

5 Comments

Vorrei semplicemente dire grazie alla redazione tutta di BdA per l’interesse dimostratomi subito. Ad Alba che scrive e commenta divinamente, ad Alessandra e Red e a tutti quelli che, come me, sono qui per mettere in cammino qualcosa.

Caro Giovanni, come leggi… incipit tradizionale, tu vivi dentro la poesia, come si nuota nell’acqua o si respira nell’aria, come si ama in Dio. A volte sembra tu abbia lo sguardo distante ma immediatamente le tue ragioni assumo un’identità in cui si cala anche il lettore.
Poesia, si, poesia splendida la tua.

La poesia di Giovanni è Sogno e Realtà – a volte surreale – io me la immagino come un clown che cammina su un filo – senza rete – ti ritrovi catapultato in immagini che rasentano il sogno e nell’immediato ti permette di scavare in profondità in quei sentimenti universali che muovono le donne e gli uomini. Versi sciolti – mai costretti – liberi – musicali eppure fortemente riconoscibili in uno stile originale e caratterizzante.

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