Introduzione alla lettura di Madreperla – Davide Cortese, edita da Bruno Castoldi

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E’ l’isola da cui viene che ha intriso i versi di Davide Cortese di mistero? E’ Lipari che ha imbevuto dei suoi colori, dei suoi profumi, del suo insondabile mare la scrittura di questo sorprendente poeta? Certamente, ma non solo l’isola; nelle opere d’arte, nei frutti dell’ingegno, è distillata tutta la vita dell’autore: gli amori, i disamori, gli incontri, le letture, i viaggi, le avventure e disavventure, le malattie, le paure, i desideri, i sogni. Nella raccolta “Madreperla”, edita da LietoColle, si depositano, come su una rarefatta spiaggia, detriti e conchiglie, frammenti della vita dell’eoliano Cortese. C’è l’India, in cui il giovane poeta si è spinto in un viaggio illuminante nel dicembre del 2000, c’è la Budapest piena di presagi di un più recente viaggio, e c’è, nemmeno a dirlo, il suo amato arcipelago: “Mi ammala di bellezza/sapere che il mare/ custodisce un tesoro mio” (ISOLE). Accanto ai luoghi conosciuti realmente appaiono luoghi immaginari, come Gothic City: “(…)Le grandi nubi levigano/le guglie di Gothic City. / Nubi sacre tatuano sulle nostre nudità / millenari sentieri di vento / e storie di amanti allucinati, / abbacinati da un sogno, / storie di cammini stupefatti, / dipanati dall’illusione. / Le nubi di Gothic City / ci fanno male addosso, / ma noi, / io e te, / noi ancora non lo sappiamo / e facciamo l’amore, / pioggia dentro e fuori di noi.” (GOTHIC CITY). I viaggi, dunque, reali e visionari. Ma anche gli incontri. Tra le pagine di Madreperla ci si ritrova davanti a una bizzarra galleria di personaggi, anche in questo caso reali e immaginari. C’è la sua famiglia (LUNA DI POMICE), c’è un pagliaccio, c’è uno spaventapasseri, una sirena, uno scarafaggio, il fantoccio di un ventriloquo e poi c’è Kid, uno stralunato personaggio che Agostino Raff, recensendo “Madreperla”, ha definito “un vagabondo da leggenda paesana”. Ed è così, in effetti; ma forse Kid è anche il matto del villaggio: “Kid, poeta vecchio, poeta bambino, / non aveva mai scritto una sola poesia. / Ma i fili d’erba su cui andava malcerto / si raccontano ancora dei giorni in cui lo udivano / fischiettare allegramente una canzone. / “Kid è uno strano uccello”, / si dicevano allora, correndo sul prato. / Gli volevano bene, però. / “E’ il solo uccello che canta così”. / “Che buffe domande faceva”, / dice un uomo dalla barba di nuvola./ Non aveva mai scritto una poesia, / Kid il poeta, / ma camminava guardando il cielo / e con le mani in tasca sospirava. (…)” (KID). Un poeta che non ha mai scritto versi, è dunque questo Kid. Un poeta però, un poeta che la poesia la vive, che non si limita a scriverla. Ecco: Kid è forse lo stesso Davide Cortese, e questa poesia un autoritratto in versi, nel quale l’autore si denuda e palesa i suoi anticonformismi, spinge allo scoperto il suo sentirsi incompreso, il suo essere fuori dal coro. Le canzoni del coro non fanno per Kid. Kid ha le sue, di canzoni: “(…) Le farfalle che volano vicino al fiume / si sono tramandate una canzone. / Una canzone che Kid cantò un giorno. / Una canzone bella e dolce. / La cantano ancora, loro, / quando si levano in volo sul fiume. / Nessuno ne conosce le parole. / Forse nemmeno il vecchio cane di Kid, / quel povero cane che sta per morire. / Nemmeno Kid, forse, / si ricorderebbe della sua canzone. / Ma le farfalle che volano sul fiume / non l’hanno mai più dimenticata.” “Mi pare che Davide Cortese abbia le carte in regola” scrive Dante Maffia nella prefazione a “Madreperla”, “e sappia scegliere con accuratezza il suo argomentare che è fatto di delicatezza, di annotazioni, di metafore che riescono a focalizzare le immagini rendendole precise e dense di energia.” Molti sono i pregi di questa bella silloge poetica, (Davide Cortese “si è giovato del sangue e del lievito della grande tradizione”, scrive Maffia, “ed è per questo che è riuscito a raggiungere una qualità linguistica e poetica convincente, priva di orpelli, e mai gratuita.”) silloge della quale voglio riportare qui i versi con cui si chiude, perché riaffiori ancora un malinconico mistero che mi ha avvinto leggendoli per la prima volta: “Ci sarà una mia briciola, dopotutto, / portata in salvo da un’ultima formica.” ( BRICIOLA ).

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