La mitraille

È spuntato alle spalle del muro nigeriano

come un grande dio rosso

io ero nel tappeto, nel cappello di paglia, nei campanelli

di filo spinato,

ad aspettare il mitra notturno sull’uscio.

 

Lui s’è seduto davanti al pianoforte,

io sono diventata il lampadario

e con un terremoto di dita e piedi

s’è messo a farmi tremolare fino al mattino dopo

 

In questa casa non puoi farti la doccia

perché una tavolata di sudamericani sudati

sta cantando nell’enorme cabina bagno senza mattonelle

 

ma puoi urlare o guardare gli uccelli inquieti

cadere in picchiata dal cielo fino bucare l’asfalto

che prima o poi, lo sai, si affloscerà come un grosso pallone grigio

 

Così te ne stai dove non esiste un vero e proprio tempo

con una gamba abbronzata che penzola dalla finestra di ruggine

a goderti lo spettacolo di ciò che accade nella tua testa:

 

pallottole adesive e donne pazze bananavestite tutte identiche

che con aspirapolvere vivi spaventano l’intero isolato,

il ragazzino travestito da leccalecca azzurro,

e più in là, in fondo alla strada,

la pineta di cavalli giganti.

 

A sera, torni nella tua stanza, dove lui t’ha aspettato

“Non ci riesci proprio, vero?” le sue corna sfiorano il soffitto

è seduto intorno al tavolo, severo come una bestia notturna

“Che me lo chiedi a fare, se sei tu a generare tutto questo”

lui s’intristisce, ed è strano vedere la tua paura

aleggiare nella luce soffusa, con le rughe che le coprono gli occhi

come una vecchia che ha trascorso con te tutta la tua vita.

“Perché sei triste, Paura?” gli chiedo.

Spero che lui mi abbandoni

che gli spuntino le ali e vada via per sempre

perché non riesco proprio a scendere da quella finestra.

Guardo la fune che ho poggiato su una sedia,

pensando di poter sbucar via dalla mia mente ultrasensibile

e di annientare il grande dio rosso.

“Te ne vai?” sospira lui.

Io mi alzo,

spengo la luce, lo lascio al buio

sento che sospira come un canotto che si sgonfia,

entro nell’altra stanza e mi infilo nella coperta verde.

 

Lui cammina pesante, avanti e indietro per molte ore,

non posso dormire,

come ogni cosa che lampeggia i miei occhi

si arrestano a intermittenza, poi cospargono di luce l’intera stanza.

 

E così fino al mattino,

finché non sarò costretta a spaccarmi in mille pezzi,

ogni giorno,

ed essere nel tappeto, nel cappello di paglia, nei campanelli

di filo spinato,

ad aspettare il mitra notturno sull’uscio.

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