La scoperta dell’altro ne “La scoperta dell’America” di T. Todorov

Scorrendo le pagine del saggio di Todorov, “La conquista dell’America”, una figura emblematica che emerge tra le altre è quella di Cortés, il conquistatore celebre per aver sottomesso il più grande popolo sia a livello culturale che militare del continente americano. Un’impresa che sembrava impossibile vista l’esiguità numerica degli uomini che affiancavano Cortés nelle sue battaglie.Si parlava infatti di poche centinaia di uomini ma, nonostante ciò, lo spagnolo sconfisse l’esercito di Monteczuma per due ragioni particolari. In primo luogo, Cortés mostra un certo interesse per gli indigeni e la loro cultura. In secondo luogo, gli “indiani” non riconoscono assolutamente gli spagnoli e credono di aver di fronte delle creature divine. Così come Colombo non riconosce l’alterità estrema degli indigeni, anch’essi non riconosco quella degli europei. Il primo elemento introduce quello che Todorov considera un aspetto fondamentale della successiva conquista e che fornisce il titolo alla seconda sezione del libro: “conquistare”. Il conquistador spagnolo possedeva una qualità che per certi versi lo elevava di rango rispetto ad altri suoi precedessori (e che probabilmente fece anche scuola in futuro) egli non era intenzionato a prendere (o comunque non esclusivamente) ma a comprendere l’altro. Questo atteggiamento innovativo è ciò che decreterà con maggior influenza la vittoria, netta e schiacciante, degli europei. Quando arriva nelle nuove terre americane egli non si preoccupa per prima cosa di ricercare l’oro ma di ricercare informazioni sugli indigeni e tale atteggiamento era sostenuto massicciamente dalla fede cristiana. Non è un caso che il primo atto densamente significativo sia di ricercare degli interpreti locali che possano fargli capire con maggior profondità la cultura Azteca. In questo caso emerge una prima grande differenza con Colombo. Il navigatore italiano non si preoccupava assolutamente di capire chi fossero gli indigeni anche perché li percepiva molto più vicino a delle bestie che a degli esseri umani (Diari di bordo, Colombo). Mentre Cortés, all’opposto, sa di aver di fronte persone di una cultura differente, che per certi versi ammira, ma che non esita a distruggere. Una volta compresa la cultura, le debolezze, il sistema di credenze e i dissidi interni, riesce a sfruttare ogni singola situazione a proprio vantaggio infliggendo colpi mortali nelle difese del nemico. Ad esempio, conoscendo le credenze azteche che lo dipingevano come la probabile incarnazione di Quetzalcoatl, il Dio serpente, non fa nulla per dissimulare questa convinzione agevolandosi non poco la futura vittoria. Il secondo elemento da tenere in considerazione è il totale misconoscimento degli americani nei confronti dei nuovi arrivati. Di fatto questi popoli non avevano mai visto persone con vestiti bizzarri e armi così diverse dalle loro. Questi particolari, unito al complesso sistema di credenze Azteche, fanno maturare un particolare atteggiamento per certi versi remissivo e, perlomeno inizialmente, paralizzante. Questa incapacità di riconoscere l’identità umana degli altri, come uguali e diversi allo stesso tempo, sembra essere determinante. La prima reazione degli Aztechi, che riferirono a Monteczuma all’arrivo degli stranieri, è esemplificativa: ” Dobbiamo dirgli ciò che abbiamo veduto, ed è terrificante: nulla di simile è mai stato visto” ( Codice Fiorentino, Sahagùn). Con uomini così diversi e mai visti prima, gli americani ben presto finiscono per scambiarli con degli Dei. Un altro fattore da tenere in dovuta considerazione è il sistema di credenze Azteco. Difatti la vita comunitaria, le cerimonie e la convivenza civile era regolata dai ciò che era stato tramandato dagli antenati e tutto era previsto in maniera statica e ciclica. A differenza della nostra concezione del tempo lineare e con eventi imprevedibili, quella dei Nativi è circolare : sostanzialmente ogni evento è previsto e ripetibile ogni ciclo.Questo è ciò che viene insegnato ai bambini aztechi diventando dotazione culturale del popolo. Una situazione imprevista come l’arrivo dei conquistadores non può che gettare nel caos questi popoli, in quanto avvertirono questo avvenimento come un presagio nefasto e di sicura catastrofe. In effetti gli spagnoli, giocando su questi fattori e conoscendo bene i loro nemici, poterono agevolmente vincere senza subire alcuna perdita. La forza degli europei fu la comunicazione interumana, la capacità di comunicare agevolmente, è di gran lunga il fattore che incise di più nella vittoria dei conquistadores.

Todorov T., “La conquista dell’America- Il problema dell’altro”, Einaudi, 1984, Torino.
Sahagùn “Codice Fiorentino”, Cit. in Todorov

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