Latente

Mi sgoccioli dentro e via,

col sapore della partenza,

col futile nuotare ancora nella mano.

 

Si stropiccia e s’accartoccia

la futilità che amo bombardare.

Non voglio osservare il mio sconcerto

i suoni e i toni e i neuroni

che avrei voluto donare ai sensi

Non sono che una sagra dello sconforto.

 

Che non dimentichiate la lingua mia

che batte e duole muta,

ogni colore riottoso ritroverebbe la separazione

da una bocca socchiusa a serraglio.

 

Grazie! Ma non l’ho chiesto io

di esistere e resistere

in questa stratosfera dove puoi solo respirare

e poi cromare i lunghi anni

sotto l’egida della sconfitta.

Come la fronda che si s’arrampica alla vita,

oserei scalare la mia catena

nel sottoscala macchiato di sole

dove latente, con occhi spacciati,

pungola lo stanco incedere

vilipeso dalle mille coalizioni amiche.

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