L’eco della Parola

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Immagine di © Nadja Jovanovic

E’ di ossa Il tramonto delle idee
Rotolano viscide, ancora di carne rappresa
come stilistiche bordure cancerose.

Sentenziare sulle parole, fu facile un tempo
come scivolare oggi in un bicchiere di vino
sorseggiando l’amaro del calice inopportuno

Ma mi chiedo, se tanto di vetri taglienti
Che s’ odono! tra sterpi e ‘dissipaglie’ varie
Se codesti, infine cadono nelle parole!
O se vedono il ritmo delle lune tanto tornite
arroventarsi come sillabe fuori rigo
ad un lasso di spazio dal vuoto che circonda.

La rovina delle ultime avvisaglie
si scaglia sull’asfalto e sui graniti
e Dove?
dove redarguisce l’eco delle parole?

Qui ci siamo perduti,
qui
nel meriggio sconfinato
ad osservare ciliegi e merda in egual misura.
Senza riconoscere del giusto percorso
l’ascesa.

Eppure solerte fu il tomo. L’espansione
dilatata del verbo come ultima frontiera,
Il districato aggettivare, come perpetua
ricerca di crescita a misura.

Dove? dove s’è uccisa l’idealità.
Il genuino lascito degli asserviti
alla fede del suono?

Quando pillole deglutite,
ansiolitiche striscioline nere
s’inerpicano, sbavano, strisciano
su cosce e ghirlande di seni turgidi
Come morenti zattere abbandonate
ad un reflusso gastrico corrosivo

E’ su queste leste maldicenze
o piccoli anatemi da digerire
che si zittisce il fiato dei colombi

Per rimanere scalzi infine
all’accapo di una riga
in tutti i sensi
vuota

 

 

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