L’insonnia di Osvaldo

La pessima idea sta sul palmo

e questa mano, che si allunga,

prende senza restituire mai

quei pochi sussurri, liquefatti all’orecchio

così spogli di ogni buia costrizione,

da riempire i miei vuoti di rose

sputandomi addosso – neri verdetti –

che alla fine sono un po, come burro al sole

in un involucro di dispiacere plastico,

messo li, da qualche parte a marcire

evitando una diffusione urlata a pezzi sparsi

e che aspetta il totale scioglimento finale,

che si trasforma in un rigagnolo in discesa

pieno di speranze oleose insinuate nella mente,

che tacciono piccoli sotterfugi maleodoranti

i quali provano ad entrare di tanto in tanto

nella mia verginità posteriore senza successo,

visto che tento il sonno a pancia all’aria spesso.

Ma è solo un giorno in più e se ne vivrà l’illusione

lungo ogni strada che è il percorso,

a strettoie e curve sempre incuranti

delle gesta quasi commestibili tutte intorno,

agitate come bandierine bianche da frulla-minchia

severamente seri e praticamente insensati,

perché qui l’effetto memoria brilla in standby

come quell’odiosa lucina rossa sempre accesa

davanti ai tuoi occhi nella notte al neon selvaggio,

con il battito del cuore che invade il buio,

in una ballata che ti accompagna fino al mattino

togliendoti vizi e virtù, come un’esattore pallido

che nella luce tende le sue dita impietose e viscide,

verso le mie labbra che si seccano al primo sole

e che si fanno riguardi assurdi,

davanti alle mie domande sporche di caffè!

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