Lorenzo Poggi è nato a Roma il 21 marzo del 1943 dove vive tutt’ora.
Laureato in scienze politiche, sposato con due figlie, è stato per oltre venti anni capo redattore e responsabile di produzione della “Guida delle Regioni d’Italia” un grosso annuario di informazioni anagrafiche sulle principali strutture regionali in tre volumi e oltre 4000 pagine.
Successivamente per dieci anni è stato direttore responsabile della “Guida ai Governi Locali” pubblicazione tutta incentrata sugli organigrammi politici e amministrativi di regioni, province e comuni.
Dismessa questa attività, è tornato alla sua vecchia passione: la poesia, che già aveva rallegrato la sua prima gioventù .
L’attività poetica è iniziata (o ripresa dopo cinquant’anni) nel dicembre del 2009 e si è concretizzata nella produzione di oltre 900 poesie pubblicate su vari siti (Poetare, Poetry & Literature, Cantiere poesia e, da ultimo, con un’assidua presenza su face book nei siti e gruppi poetici. Per soddisfazione personale ha dato alle stampe quattro raccolte contenenti le sue poesie più amate (“Sassi sparsi” nell’ottobre 2010, “Sussurri e grida” nel febbraio 2011, “Il cielo che aspetta” nel settembre 2011 e “La luna nel pozzo” nel febbraio 2012). Ultimamente sta preparando e pubblicando altre raccolte in pieno “fai da te” contenenti le sue poesie più significative degli anni 2011 e 2012. E’ libera offerta di poesia sia in modalità elettronica che cartacea.
Poesie tratte dalla Raccolta ‘’Mentre Cammino’’
Lorenzo Poggi
- Una ciliegia tira l’altra
S’ingialliscono i piedi a stare a guardare
Forme screpolate s’arrovellano al sole
La maionese è impazzita ma seguita a girare
La giostra attende il cavallino nuovo
La ballerina gira sulla punta del carillon
Gli specchi riflettono lustrini e paillettes.
C’è chi dipinge su tovaglie di carta
C’è chi imbratta strade, panchine e palazzi
C’è chi imbratta le coste di troppo cemento
C’è chi mangia le spiagge e privatizza l’acqua
C’è chi paga mazzette per far vivere i morti
C’è chi preferisce morire che morire di fame.
Ci siamo sparpagliati nei solchi tracciati
senza contare i caduti.
Abbacinati dal sol dell’avvenire
siamo rimasti sfregiati
dall’ottimismo ottuso
d’un cartellone pubblicitario.
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- Le piume dei merli
Ciondolando tra me e me
alla ricerca d’un qualcosa da credere
mi sono arrampicato fin sopra la torre
e sparso le ali per terra.
Ho gridato l’urlo del falco
vomitando la rabbia che ho dentro.
Ho toccato le piume dei merli
e le guglie più alte del monte
ma non sono riuscito a carpire
il segreto di chi sa dove andare.
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- Inconcludenze
Siamo vere e fragili immagini
appena perse in una piazza di città
con lunghe ombre da tramonto
che s’affastellano in fila indiana
alla mensa dei poveri.
Abbiamo contato le foglie dei platani
a terra e lunghe vestigia di traffico antico
separato dai colli addomesticati
dal nodo scorsoio che separa città e campagna.
Adesso che è tempo d’andare sottili nel vento
senza remore per catturare pidocchi,
adesso che è tempo di morire sfiancati
senza sguardi alti nel cielo,
ci fermiamo un solo momento
per indicare l’unica strada che porta al macello.
E’ stretta tra due mura private non concede niente alla
vista.
E’ il paradiso dei poveri ricchi, sempre più soli
per invitar la gente (che nega l’approccio)
per non sentirsi in credito vista l’offerta
sempre più massiccia di futili totem
ormai sorpassati.
Si vive una volta sola, ma i parametri usati
non servono più.
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- Paesaggio salentino
Ho dipinto un affresco a mezz’aria
spremendo limoni in mezzo agli ulivi.
Ho lasciato segni inequivoci
disegnando muretti, fazzoletti di terra,
e teli arancioni.
Ho messo anche le facce
a sfiorare il terreno
e corpi adoranti dalla parte del mare.
Ci sono ancora le tracce di streghe combuste
e agnelli sacrificati sull’altare del credo.
Lo dicono i tronchi squassati dal tempo,
il plastico intreccio delle loro scritture.
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- Fermare la corsa
Ho voglia di strapazzare anse di fiumi,
ridisegnare confini, trovare radici.
Cucire il mare col cielo lungo il filo dell’orizzonte.
Aspettare la luce anche se non viene.
Rivoltarmi nel giaciglio melmoso dove sono i pensieri.
Nascondere mani mozzate in marmellate nascoste.
Mettere la faccia alla berlina.
Agitare spaventapasseri in disuso.
Allevare giganteschi passeracei golosi di Ogm.
Anticipare la corsa verso il muro di fronte.
Inscatolarmi nell’auto che ha perso le ruote.
Seminare giungla nel fazzoletto del mio giardino.
Accomodarmi in poltrona per osservare
il colore del cielo alla fine del mondo.
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- Il mercato dei sogni
Ho visto centinaia di frasi becchettanti
sul davanzale che chiedevano d’entrare.
Ho ascoltato voci strozzate rinchiudersi
dentro lo schermo d’un diffusore di banalità.
In cielo passano nuvole come festoni pubblicitari.
Si comprano menti all’ingrosso inventando bisogni
Commento di Alba Gnazi
Molteplicità di voci e richiami, dall’eco mai sopita di un ricordo alla ricerca di nuove dissonanze che diano significati meno logori al quotidiano: la poesia di Lorenzo Poggi abbraccia più piani del sentire, con un occhio attento alle realtà sociali che hanno come connotato la precarietà e l’insoddisfazione, la resa a convenzioni (auto)imposte cui il poeta mostra segni di insofferenza – il sarcasmo sottile che pervade ‘’Il mercato dei Sogni’’ è coniugato a un dolente e quasi rassegnato desiderio di scoprire inedite ribellioni verso chi ‘’compra menti all’ingrosso inventando bisogni’’ -. Trasversali la ricerca e l’analisi interiore, il senso di compiutezza di passati che pure, in qualche modo, tornano – passati imperfetti, con riverberi accesi – e la consapevolezza della fallacia di certe inquisizioni :
‘’non sono riuscito a carpire/il segreto di chi sa dove andare ‘’, da ‘’Le piume dei Merli’’; di certe illusioni:
‘’ E’ il paradiso dei poveri ricchi, sempre più soli
per invitar la gente (che nega l’approccio)
per non sentirsi in credito vista l’offerta
sempre più massiccia di futili totem
ormai sorpassati.
Si vive una volta sola, ma i parametri usati
non servono più.’’ da ‘’Inconcludenze’’; esigenze e vissuti che hanno scandito il tempo proprio e quello altrui e che non lasciano altro che solchi vuoti.
La musicalità dei versi viene scandita in più parti dai richiami anaforici (‘’C’è chi…’’ ripetuto sei volte in ‘’Una ciliegia tira l’altra’’), fino al climax – cui nulla sfugge, cui tutto tende -, dagli enjambements alle brevi onde d’allitterazione alla rima interna: la fluidità di ogni verso s’incanala nel successivo e poi nei brani poetici che seguono, a indicare quell’unicuum che è il poetare di Poggi, intenso, vibrato, sorretto da una profonda conoscenza della cosa poetica e da un sentire per cui l’introspezione, l’ironica malinconia, la memoria personale e storica sono solo alcuni dei tramiti verso una chiara, superiore, alta espressività poetica.