ORSO POLARE NEL MIO CRANIO

Scrivo mentre gli elicotteri continuano a

passare ignari

turbolenti rumori d’agosto

scrivo al sole e chinata scrivevo

annaspando ore, cercando lavori sopra stellari

notiziari duemilaquattordici

scrivo aspettando settembre e Roma a gambe aperte

così madre e suora dal velo sopra agli occhi

aspettando insieme al mio amico R. sopra balconi reggini

che succeda qualcosa

affogando sangria di sangue e ossa

scrivo anche in quel momento mentre creiamo

mondi non ideali apprezzati da pochi codici trasparenti

intangibili maledettamente cazzuti arrivati

alle sponde della non differenza umana

e ci facciamo di racconti instabili e canne senza poter

spegnere mare con topi morti dentro che speriamo

ci accolga, come il sogno che ho fatto l’altra notte

con centinaia di meduse e l’ebola nella mia stanza

speriamo Afriche e aspettiamo reading,

poesie lette soffocando non alberghi

case sulla prenestina che ho conosciuto come

contrari d’amicizia letti senza subaffitto

birre divise in tre così come pane

così come San Lorenzo in piena notte di domenica

e un tipo col viso squarciato da una parte all’altra

a guardarci a passarci davanti ogni sette minuti

scrivo e sta pur certo

che scriverò ancora macchinando suicidi come nell’estate

del 2012 aspettando Spagne irradiate a gennaio e a febbraio e di notte

e in pieno centro da sole effervescente e indifferenza matematica

di occhi nerissimi di brandine sbattute a terra e scopate fino

alla morte cerebrale facendo rumore nella stanza di genitori giovani

non miei dall’altra parte della casa viola

ho scritto a Cosenza imputridendo la mia mente

tra le mosche coi miei stessi occhi grandi e spauriti

con i non tram, ho scritto romanzi che attendono ancora

sempre in codici di mail invisibili attraversando

non-Americhe, che cristo desidererei ridicolizzare

e mettere al centro del mio petto così per sanguinare

come i poeti che han sempre fatto la fame in Europa

e la fame a San Francisco ma con consapevolezza di

nervi ottici e acidi e amici sfavillanti che a venti venticinque anni

non provavano come noi a mendicare morte sulle strade italiane

sempre più battute

grugnendo sale ho scritto, grugnendo birra dell’orso

e ancora Riegele Augustus e ancora fegati marci

che non si è fighi se si beve ma credimi

il porto galleggia col vino bianco mentre progetto

un anno di povertà non interiore al centro Italia

ho scritto pochi mesi fa dentro call center ripieni di torte

di compleanno e ciclo mestruale sulle sedie immaginarie

giusto per pensare ad altro mentre ragazze dalla

voce impostata rivestono panni di donne-fare

con famiglie nei futuri prossimi e rossetti vintage

ma io ho scritto guardando la zona industriale

stranamente radicata nel verde impiccata

dentro al nulla senza pullman e col mal di testa

mentre uno di Milano mi dice nelle cuffie che ho rotto

i coglioni che ho chiamato mille volte, ma è la prima volta

e sono in questo posto bianco lubrificato di massacro interiore da

dodici ore aspettando musei grafici sbrattati sui muri

della mia stramaledettissima città che per un po’ sto per mettere

sotto i tacchi ma dicevo, dicevo che me ne sto lì a ridere un attimo

e dico al tipo ‘lo so, lo so’ e così coi suoi coglioni rotti e i miei

mando fascicoli di curriculum presto dimenticati e numeri del mio telefono

che mi ricorda la desolazione delle menti così internet e così social network

prezzo zero che mi riporteranno presto col cappio alla gola

e i segni del candido compiere vent’anni il 9 aprile di due anni fa

con le scuole che chiudevano e il mio anno perso in terzo superiore

che te lo dico ora, ho passato a ubriacarmi nell’aula zenit, scorgendo bottigliette

d’acqua amara, passando notti in casa di J. Amico non amico omosessuale dal culo

in fiamme che ha mi spinto una sera nelle braccia delle tenebre dove presto riconducevo

il mio corpo scrivendo dentro cessi senza chiave a vomitare i sedici anni e tirando aspirine

col naso e bottiglie di vodka e facendo discorsi attaccata a mani aperte ad un muro

del polifunzionale, e così scriverò

ma scriverò forte e credimi che le mie dita sono ossute e brevi sulla macchina da

scrivere e aspettando un nuovo inizio di poche cene e molti stomaci

scriverò e scrivo con forza sopra ogni tasto o con penne finite

ricomprate pagate ai cinesi dell’autostazione che ci bloccano ogni tanto

per far passare mille volte il codice a barre ed io con occhi di non amorevole

compassione che li guardo senza razzismo e sto lì con lo zaino

a fotografare mille volte sullo stesso viale gli stessi palazzi nuovi

e lo stesso rialzo con muri imbrattati di verità perlomeno dove il mio

primo effettivo romanzo adesso dorme senza mai poter rilassarsi

per più di due minuti come me

che tra incubi e non trasparenze salto e urlo in piena notte

e dico cose sottovoce e sogno di stare tutto il tempo nel bagno

a farmi sgridare da materne cagate post-mortem

e così non è facile avere ventidue anni e tre mesi e mezzo

ma continuo a scrivere scivolando uteri, aspettando che succeda qualcosa

e che succeda forte mentre bighellono tra spazi infrarossi di municipi che continuano

a spiarci e bellezze troppo grandiose di città che non saranno mai mie

continuo a scrivere, mentre qualcosa deve succedere, mentre io devo, e devo, e devo e devo.

 

 

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