Ottant’anni

invece sono qui
in una delle tante noie d’aprile ad avvitare lampadine incollando albe al soffitto tramando coi ragni nascosti nella mano
da un’ora nel corpo di un’idea da quasi un secolo
il tavolo da ping pong del mio seminterrato in un angolo un mucchio di libri e giornali
un gioco di polvere col dito rumori che filtrano ricordi e gli occhi
gli occhi che inventano motivi
Mi percepisco appena sento piovere
ed è pioggia dagli alberi appena sento ridere e vengono bocche a baciarmi campane a suonarmi e sento una porta che si apre e ti vedo mio cane di razza mio antico vicolo nel cuore
Avrei potuto scriverci un racconto L’uomo che avvita lampadine mentre fuori piove e la gente passeggia tra i negozi sul palmo di una mano sabato pizza e amore una mosca vegliarda nel mio compleanno e quella malattia di vivere completamente_e senza te_mai completamente
sbagliando i silenzi
curvando le voci sulla morte di un piede o di una mano
arrivando da mondi lontanissimi qui adesso a darmi una pena che inchioda
ma vedo tante parole cadere, ecco, le mie le tue che si accavallano perdendoci
da me a te due occhi continui come quando mi guardavi e mi salivi alla fronte
perché mentre mi leggi ora, vedi, mentre mi parli e mi mangi
mi scendi piano al collo invece
e mi lasci in uno specchio argentino, come una luna imprevista: perché sei nella carta da parati; nella carta regalo sei nel mio natale, ottusa inspiegabile assenza nell’aria che mi buca
avrei potuto, beninteso, vivere, nascosto tra le dita come un gatto
essere io la tigre o il dolore di una casa di vetro saltare da un lato all’altro del tavolo fantasticare mondi su una stella e scrivere di getto tutto un mappamondo di rancori
invece sono qui
solo un metro di pioggia ed un orecchio che gira in un’idea impossibile perché
è dura continuarsi dopo tanto amore
dura
avvicinarsi
da soli
alla morte
mio piccolo
immenso
fiore
lampadina
mio tetto scoperto

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