PADREMMADRE

Vederti perdere slancio
fino a un punto sospeso e poi
il capofitto:
ben altro ti immaginavo in sorte.
Compivo tutto come per finta
al tempo della tua gestazione
capirai
abitavo l’anticamera stessa
da cui ora ti parlo
facevo cose come smontare il motore
della vespa e montarlo di nuovo
e se mi toccava un bacio
un seno puntuto sfrontato
lievitato di fresco
sotto qualche lacoste di compagna
non avevo fretta
di saggiarne la consistenza aliena.
Ti ho partorita una sera
-saran state le undici
e mi sembrava il più nero sprofondo-
spinta fuori da me per stupire
un amico di cui mi importava poco
ma che ricordo -chi lo avrebbe
mai detto- meglio di tanti
per cui invece avrei dato ogni cosa.
Eri di colpo luce
perché mia perché
primogenita
e d’allora mi sei stata bandiera
come un nomignolo come l’odore
che lascio nei panni;
non ero pronto a vederti infilare la porta
idea mia
figlia mia anima
mia eiaculata
trascorsa per questa vagina
e scendere in strada senza un saluto
per spegnerti muta
nel coro stupido dei moribondi.

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