Pavàna

Tra le volute di fumo e l’acidume imbottigliato
si puttaneggia, si bovareggia, si sànguina;
il contratto sanguineo gode di
mille proroghe, di generazione in generazione.
Ed ecco la nudità così attesa, la vera linea
che spartisce le acque. O, per caso, avresti
l’ardire di sostenere che una generazione
vale l’altra? Guardati dall’imitare i miei pensieri,
per cortesia! Quanto mi catturi Tu
con la vera new generation? Viene da questo
Paese col littorio nel DNA, davvero. E
ci fottiamo le stelle – strisce
aggratis, l’avresti mai detto? Non l’hai detto,
lo hai toccato, annusato, messo al tepore delle cosce.
Dopo il Libero Libro nulla sarà più uguale.
Chiuso. Rien ne va plus. Ça suffit.
Dammi un paio di secoli per la mia reggenza scarlatta.
Sbattimi in bocca la lingua frozen, pompami gli occhi
col ventre prigioniero dei sogni all’alba. I papà sono
murati: vivi o morti, è lo stesso. Sii mio Nostòs,
è lì che si finisce. Nel prima, nel poi.
Inarca la schiena e asciugaci.
Annegate nella merda, poeti:
financo i vostri scrigni laccati
non sono in grado di contenere
il Nulla, figuriamoci Detto-Indicibile.
Falchiamo Parigi? Sì, forse… Intravedendo
la fine del Nonfinito. Ecco come va
questo genere di cose. La merda è anche acqua,
come la classe. (De)scrivimi i cieli
senza lacrime uterine. Adàgiati
su tutta la mia lunghezza. Solo quel paio
di secoli sufficienti a spegnere le stelle.
Scardiniamo l’entrata di un SERT, ché
mica ce la danno a ingoiare.
Rimuoviamo le steli funerarie.
In nome del bacio inespresso –

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