Poesia del cane che dorme

la prima volta che ti diedi un bacio pioveva, ovvero
piovevano silenzi -come usano dire i poeti, quelli che
scrivono con ambizioni poetiche- [ed è la prima cosa da cui dovrebbero guardarsi,
i poeti, quelli che mentre baciano sono convinti di avere dentro una folla di poeti
che li guarda con l’aria di chi sta leggendo una versione meteo dell’amore, l’unica,
nella quale compaiono uccellini con le ali bagnate e sogni da mettere in fuga].
[Bisognerebbe concentrarsi nella sola funzione del bacio, dico,
che è l’unica poesia possibile svuotata di ogni declinazione paraclimatica e intramuscolo, cosmetica e puttana,
via gli uccellini, via persino le nuvole e il cielo,
al diavolo gli umori del vento e ogni proiezione di sè come poeta in grado di spostare silenzi e di spiccare voli].

Così pioveva o almeno così mi dicesti, mentre piangendo
guardavamo il vuoto mare ed eravamo nel climax perfetto della nostra
innocente illusione.
C’era una barca rotta a riva e un cane che dormiva.
-porteremo l’amore che ci tiene-, dissi, -e se avremo da remare
remeremo; così faremo figli che faranno figli e la terra crescerà
a misura di cani che ci seguono sullo stradone, cani venuti da un bacio
perso nel vuoto mare di febbraio, in una pioggia che non era pioggia
ma solo silenzio delle nostre salive,
clima diverso da tacere negli occhi
come una poesia soltanto pensata.

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