Quanto si erano persi
saltando da un cono d’ombra all’altro
estasiati come tamburi dipinti sulla fronte di Santa Teresa
Quanto si erano persi
inascoltati temerari
sempre pronti a divorare carne sessuale
In questo momento
e per mille altri giorni
la sirena indossava stola e cappello
Il suo luccicante mondo sotterraneo
le aveva tolto il dono della rincorsa
le sue ossa di Hydrargyrum imploravano la deformazione
Aveva desiderato
quegli uomini e quelle donne
mozzati come frasi notturne
persone distrutte appese bovine
oppure stese su tranvia affumicati ad aspettare
l’Icaro del giorno cader giù come il miracolo del mercoledì
aveva veramente desiderato, nel suo utero acquatico
i ristoranti ruminanti, il dopolavoro cameriere
la fatica, le notti in pieno giorno, le veglie addormentate sui libri giallojauné
Ma non s’aspettava che tutto sarebbe davvero cominciato
su due gambe come in ogni storia
Era spuntata dall’acqua
così come da una terra arsa
e adesso guardava il mondo smarrito
Perché si erano persi
i suoi scenari di rovine marine in attesa di un eroe,
mantenuti in piedi da statue honnête,
e s’erano stancati la voglia, il disastro, la pace
Quanto si erano persi
tutti quelli che erano sacchi vuoti
vaneggianti e macilenti per le strade disilluse
ripresi da telecamere fantastiche
divoratori del niente catartico,
mare nero d’ogni stagione e momento e posto
e s’era persa pure lei
tra le indicazioni bieche
cercando l’atro mondo.