Recensione “Una piuma a Babilonia” a cura di Annamaria Giannini
Roma 20 luglio 2015
” Leggete i vivi” è un’esortazione che rivolgo spesso a chi ama la poesia e, amandola, sicuramente con gli autori del passato ha già costruito le sue sicurezze. “Leggete i vivi” perché è privilegio, nel seguire gli autori contemporanei, cogliere l’evoluzione, i passaggi della poetica, i cambiamenti, mentre questi avvengono, nella loro scrittura. E’ ormai diverso tempo che seguo Enzo Lomanno e il sentimento che ho provato accostandomi a questa sua opera prima è di pura meraviglia. La sua crescita è stata costante e continua e questa silloge è assolutamente, senza dubbio alcuno, il riassunto perfetto del suo percorso. Uno stile fluido quello di Enzo, musicale e denso che pur essendo inseribile nella poesia moderna non fa concessioni alla prosa poetica e mantiene forte la sua identità di poesia, con immagini e metafore usate con perizia.
Un verso libero che, quando breve, incide con potenza il concetto: Non ci fu preavviso / devastante la lama / tranciò netta / ossa ancora bianche / inconsapevoli, quando lungo dilata il sentire in immagini sapienti senza perdere forza: Nel diffonderci come edere nei soffitti e sopra i tetti / acquattati al buio che allora abbracciava fraterno.
Il tono generale di “ Una piuma a Babilonia” è intimo quando l’autore ci parla di sé come se si guardasse dall’esterno, con un’obbiettività ammirevole nei viaggi di memoria presenti tra i versi, non si auto compiace nè si compatisce mai il poeta, si racconta, nel bene e nel male senza nulla concedere al pietismo ed anche la sofferenza è vista come percorso ineluttabile nella vita di un uomo. Il tono è intimo e crudo anche quando ci parla del mondo, lontano dal sentenziare o dal dare soluzioni la penna semplicemente racconta e descrive e al più analizza gli effetti che il mondo stesso ha su di lui. E’ la prima persona singolare il soggetto di questi testi ma una prima persona non invadente o onnipresente, una prima persona non diaristica ma vigile ed analitica, sia l’autore allo specchio o alla finestra aperta sul di fuori: nel torrido d’un mondo / di cui oggi so, / e non mi da / pace
E’ piena di domande questa raccolta, pennellate di dubbio nella consapevolezza che è compito della poesia non sentenziare ma chiedere ed Enzo Lomanno chiede con testi pieni di struggente tristezza , di una amarezza di sottofondo che si salvifica e riscatta con la bellezza che, nonostante tutto, non smette di cercare in ogni angolo, soprattutto quelli alla bellezza non predestinati. Il mio cuore è troppo piccolo per così tanta,/ tanta bellezza così bellezza deve uscire da lui e diventare parola, per rimirarla e farsi rimirare, per raccontare e farsi raccontare. Un testo dopo l’altro si evince forte e chiara la storia del poeta stesso, la storia di un’età contemporanea difficile da rendere da spiegare senza cadere nella retorica, come invece l’autore riesce perfettamente a fare. Ho consigliato questa raccolta a tanti amici più giovani di me non usualmente
interessati alla poesia che vedono lontana dal loro mondo, l’ho consigliata perchè riesce a scandire bene i disagi, le esperienze, i conflitti di una generazione senza rinunciare al linguaggio poetico, mette il dito sulle cicatrici e ne fa parola. Il verso si fa pietra, martello, necessità e complemento nel cammino di un autore che sta crescendo, nel cammino di un uomo e del suo disincanto che diventa bella, impegnata, fruibile, onesta poesia
E capirai in fondo, come tutto proprio tutto sia stato coagulo d’impellenza
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