Mi ritraggo. Non riesco a rimanere, vado via. E’ un rewind questo, inizio dalla fine. Non ho mai amato stanze affollate e adesso che ci penso non prendo mai per prima la parola, mi piace piuttosto osservare la gente, coglierne i tratti, indovinarne esistenze. Talvolta intavolo discorsi silenti e noto caratteristiche che sfuggono ai più. I particolari rivelano molto delle persone.
Ciclicamente mi stacco da situazioni divenute prive di senso. Vedo il ripetersi di situazioni stereotipate e mi coglie nausea, come quando di ritorno da Ferrara rimasi ore interminabili in quella stazione sperduta nel nulla, con solo il bar dei cinesi aperto e passanti senza volto che sparivano nel buio. sospesa in un non-luogo, in una estraniante atmosfera hopperiana.
In quel periodo la costante erano i binari e gli aeroporti. Un trolley rosso, scelto con cura, a farmi compagnia. Talvolta, non sempre, una voce. Spesso lo spirito dei luoghi era una regolare presenza. Riempivo gli occhi che come argini contenevano a fatica. Appartenenza e distacco, facce di una stessa medaglia.
“A che ora parti domani?” –
Qui piove a dirotto, ma non mi dispiace. Sembra che lavi l’amarezza di giornate fatte apposta per farsi male.
“Mi sembra di sentire il peso che trascini… Sempre troppe parole, vero?
Buona notte e buon viaggio, oscuro compagno di luce”.
“Buona notte cara, sono distrutto. Vado a dormire”.