Vorrei regalarvi un torto
che sia profondo almeno quanto le radici dell’inferno,
che abbia le fattezze dei miei denti
storti e gialli di (s)ogni e sigarette spente al cimitero
mentre ti salutavo Andrea,
ciao Andrea.
Ci sei andato prima di me all’inferno o l’inferno lo hai lasciato a me,
come mi hai lasciato vuoto il petto e il banco alla prima del primo giorno di scuola?
Vorrei dirvelo a chiare lettere
che anche un cieco le vedrebbe,
spararvi in vena una litania pere-nne
così che possa viaggiare capillare al cuore,
farvi vedere quanto m’ ingrassa la vostra presenza nella mia coscienza
o come il dubbio si sfittisca nella mente di un altro
se l’altro non è selva ma mano protesa che salva,
e quindi dipingervelo sulle ossa della mano il rosso del sangue che vi ho strappato
con cui ho rattoppato cicatrici spente da occhi spenti.
Farvi un torto sono versi spiccioli schiacciati al foglio
come la mosca al muro,
l’amen finale alla preghiera di croci e cartone,
la pietra tombale che diventa
la pietra dello scandalo perché
si può resuscitare il terzo giorno, se non hai bevuto tanto.
In tanti avete bevuto il mio amaro
l’ ho versato nelle vostre mani
che come calici d’amore hanno accolto e ossigenato
e restituito il morbido sapore di un amico.
Per questo vorrei regalarvi un torto:
una poesia delle mie, mal tessuta ,poco chiara,
che rimanga celata tra le pareti delle vene
come inchiostro vivo che pompa caldo