Roberto Marzano

poeta roberto marzano (5)

Con ‘certi cuori-occhi di chiocciola socchiusi’ avvicino il mio sentire ai versi di Roberto Marzano. Lascio scorrere i suoi versi come musica nel mio pensiero e intravedo il suo sorriso ammiccante, ironico, mentre mi narra del disagio e del nulla, colorandolo di strade umide e di insegne luminose spente. C’è il ricordo che bussa, forse di un passato ancora pieno di aspettative, ora disilluse. Roberto gioca con le parole, sono per lui cubetti di colore rosso conserva, grigio muffa, blu notte, verde cavolo, che divide e accoppia, dando vita a nuovi significati, sorprendendo e disattendendo continuamente.

Maestro di calembour, non gli resta altro ‘che smanacciare citofoni a caso / luminosi asterischi di esistenze a resa / per scappare dalla nostalgia che assale’ e trovarsi di fronte a ‘case impopolari / perché nessun uomo dovrebbe abitarci’. Non c’è scampo al freddo, alla latta dei tegami, alla miseria che dilaga a macchia d’olio e non c’è tempo per pensarci su troppo ‘perché, vedi, il tempo è spesso un’interminabile biscia / una moneta stronza che urla croce / quando avresti spergiurato testa’.

Lo sguardo di Roberto si posa sull’operaio alienato che respira ‘l’aria sporca di plebe stanca / che non distingue più una carpa da una scarpa’, lo scenario è avvilente, si sente l’odore acre e combusto degli oli depositati come succo di limone sulla pelle consunta. Ma nell’operaio sopravvive il sogno di fenicotteri di zucchero, nonostante la schiena a pezzi e il sorriso spento. Sarà solo un povero illuso o questa è l’unica via di salvezza per non morire fagocitato dalla monotonia?

Il cammino dell’uomo non può essere ‘senza orto né porto’, Roberto ci incita a rimboccarci le maniche, a fare qualcosa anche se ‘non si scendeva di così tanto da anni / sotto lo zero assoluto la voragine feroce’, ma è proprio per questo che dobbiamo dare un colpo di reni e tentare la risalita e smetterla di spalmare intenti ‘su fette di pane fatto d’aria fritta’.

Francesca Ferrari


BAR CHIUSI

Bar chiusi per pura cattiveria
sotto i portici lasciano testimoni mute
saracinesche ferree a maglie strette
cigolare al vento di palude.

Risuona l’eco del tintinnio al bancone
dell’incontrarsi dei bordi dei discorsi
non più inespressi di non dati baci
in cocktail gai di cordialità diffusa…

Non resta altro nella sera piovosa
che smanacciare citofoni a caso
luminosi asterischi di esistenze a resa
per scappare dalla nostalgia che assale
certi cuori-occhi di chiocciola socchiusi…

CASE IMPOPOLARI

Case impopolari
perché nessun uomo dovrebbe abitarci
figuriamoci un bambino che ha solo otto giorni
il tetto ondulato che col vento si schioda
trasforma in ghiacciaia quell’unica stanza
non più di tre passi, una sedia e un secchio
le pentole in latta senza etichetta
un freddo bastardo che morde le ossa
la coperta non basta, la bombola è finita
il materasso ha le impronte dei calci dell’alba
che sfonda coi pugni la porta di carta
in questo nero febbraio, ortiche negli occhi
siam povera gente, nonnulla di peggio
ma c’è un’ingiunzione ricoperta di neve
che ci spinge più in là con i topi in omaggio
in un campo di fango, rumore, gramigna
una fontana impazzita che tossisce e che sputa
acqua buia, giallastra e sguardi traversi
singhiozzi lunghi anni che non trovano sfogo
e va già bene che i gas sono ormai fuori moda
ma è così che ora si fa sui confini
delle inflessibili città dei Gagi.

LA SCHIENA CURVA SUL PEZZO

Grossi oliatori di latta grigia
naso a muso di formichiere
aspergono sudore idrocombusto
sulle teste chine degli operai al lavoro
che sputano col sangue bestemmie a mezzabocca
pregne d’impura forfora che infetta
gomiti consunti come limoni grattugiati
nel ritmo delle macchine incalzante.

Torni e frese, tamburi coi piedi di piombo
fan tremare i pavimenti del capannone
l’aria sporca di plebe stanca
che non distingue più una carpa da una scarpa
sogna fenicotteri di zucchero
che distendono le ali liberamente
sopra l’urlo della catena di montaggio
nel deserto dei sorrisi spenti
denti stanchi, la schiena curva sul pezzo

S’8 LA PUNK

Qui sotto la panca non ci sono capre
e cavoli bolliti sotto il sole
ma libere di vagar per le montagne
russe tracannanti vodka a Mosca
al naso per gli affari di stato
di abbandono la strada maestra
d’asilo politico e privato dei diritti
più “Elementari caro Watson!”
le medie non le ho finite
nel secchio della spazzatura mediatica
densa di cronaca nera
la notte senza luna crescente
l’incazzatura del Popolo deciso
a far la storia dell’arte di arrangiarsi
con quel poco di buono
sconto del trentatré per cento
lire che in America voglio
una casa da sogno o son desto
la tua ilarità o compassione
la baciai sulle labbra rosse
di melograno indeciso
s’essere spiga o pomo tondo…

SENZA ORTO NE’ PORTO

Senza orto né porto te ne vai dribblando
sassaiole esanimi di manicomi incompiuti
l’abito logoro sulla pancia sacca molle
per scarsa attività protratta non programmata.

La stanza che contiene il tuo corpo stanco
loculo gonfio di umido e di muffa
carrucole cigolanti sul cavedio il vuoto
il lamento (o il canto?) di chi stende salme
sulle corde bagnate di quest’immane freddo
(non si scendeva di così tanto da anni
sotto lo zero assoluto la voragine feroce)
fame lenita a sforzo da una grossa latta di conserva
piena di poesia a lunghissima scadenza
da aprire prontamente in caso di scoraggio
e spalmarla senza alcuna parsimonia
su fette di pane fatto d’aria fritta.

Perché, vedi, il tempo è spesso un’interminabile biscia
una moneta stronza che urla “croce”
quando avresti spergiurato “testa”
allora, dovrai rimboccarti in fretta
perché senza orto né porto
ne farai ben poca di strada…

Roberto Marzano, Genova 7 marzo 1959, narratore e poeta “senza cravatta”, chitarrista, cantautore naif e bidello “alternativo”.
Barcollando tra sentimento e visioni, verseggia di vagabondi e di prostitute, di amori folli, di ubriachi e dei quartieri ultrapopolari dov’è vissuto. Meditabondo, si arrabatta tra città arrugginite, bar chiusi, televisori diabolici, supermercati metafisici, operai, nottambuli… e oggetti inanimati ai quali dà viva voce. Una poetare pregno di originalità e dell’ironia pungente che lo ha già contraddistinto nel campo della canzone d’autore. Come musicista (Roberto Marzano & gli “Ugolotti” e “Small Fair Band”) si è esibito in centinaia di concerti. Collabora con le riviste letterarie “Prospektiva”, “Erasuperba”, “Diwali-Rivista Contaminata” e “La Masnada”.

Ha vinto il Premio Nazionale“ FITEL 2002” – Roma; la III Rassegna Letteraria “Monte Zignano 2008″ – Genova; la XXI Edizione Concorso Letterario “Don Lelio Podestà 2010” – Chiavari (Ge); la III Edizione del “Concorso Letterario Bel-Ami 2013” – Napoli e secondi premi al Concorso Letterario “L’arcobaleno della vita 2002” – Lendinara (Ro); Premio Letterario “Humaniter 2004”- Napoli; Concorso Internazionale “Ad un Passo dalla Poesia 2004” – Tollo (Ch); al IX Premio di Poesia “STED 2010” – Modena e Concorso letterario Internazionale “Wanda Petrone 2011” – Tufara (Cb). Innumerevoli “menzioni”, “premi speciali” e “segnalazioni”.

Ha pubblicato: “EXTRACOMUNICANTE. Dov’è finita la poesia?”- De Ferrari – Ineditamente (2012); ”EVENTUALMENTE IMPROPONIBILE” – Edizioni “Si Fa Per Fare”; “SENZA ORTO NE’ PORTO”- Edizioni di Cantarena – QP (2013); “SENZA ORTO NE’ PORTO”- Bel-Ami Edizioni (2013) e l’e-book “L’ULTIMO TORTELLINO e altre storie” (racconti) – Matisklo Edizioni (2013).

5 Comments

complimenti Roberto. Sei molto bravo, e Francesca ha saputo dirtelo. Nei limiti delle mie possibilità, per quel che possa valerti, ti seguirò d’ora in poi con maggiore attenzione.
Giovanni

caro giovanni, francesca ferrari è sicuramente la poetessa che stimo di più assieme a pochi altri,,, ci tengo a sottolineare che questa mia dichiarazione è precedente alla sua bellissima recensione, ho parecchi testimoni che lo potrebbero confermarlo… 😉

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