quel pendolo negli occhi
misura del tuo spazio quando mancavi le parole ed era un cielo;
quello strato di vento contrario
in cui posava il giorno
antico e minuscolo il gatto che ero
scrivendoti persino sottopelle
le mille consonanti d’un bacio
e poi le luci
tagliate ad arte sulle nostre schiene di santi sbagliati
appena inghiottiti dall’autunno
in una sinfonia di rovi.