Storia di un uomo steso a terra

Pablo aveva abbassato la serranda della lavanderia lasciando pantaloni e giacche nella penombra pomeridiana dell’arido agosto romano, erano giorni di piogge bollenti e torrenziali che duravano qualche ora purificando e portando ad ebollizione i marciapiedi per poi lasciare spazio al sole insistente.

Aveva attraversato a piedi Viale Libia e Sant’Agnese Annibaliano, perché alle 17 e 30 il clima era più clemente; era arrivato in centro a circa un’ora e mezza dopo, non amava prendere gli autobus nonostante lavorasse sette giorni su sette e soffrisse di forti mal di schiena a soli 33 anni, ma non gli piacevano ovviamente le signore di Piazza Barberini, sedute per qualche motivo sui seggiolini rossi e verdi traslucidi dell’80, quando andava a prendere sua moglie Alicia ogni sera alla tavola calda in cui lavorava, non gli piacevano i giovani nottambuli ricchi e pieni di speranze nella droga del giorno dopo, i chirurghi e le nobili di famiglia usciti da teatro proprio a quell’ora, che lo guardavano come il peruviano che era, in quel momento, scuro di carnagione, coi capelli folti e ondulati, non troppo lunghi, gli occhi intensi e mani e vestiti sempre puliti ma abbastanza logori a causa delle ingiurie e degli sforzi serpentini per il quale strisciava tutti i giorni per arrivare a fine mese. In tutta la sua onestà, e in nome del suo cuore placido e infantile, Pablo riconosceva che era facile cadere in errore, e che si sentivano in giro, dentro e fuori dai corridoi, voci imbellettate, consumate a furia di essere scritte, cancellate, riscritte a piacimento da bocche veloci e affamate di notizie frivole. Era facile non sapere e non conoscere, lui stesso era caduto in pregiudizi a cuor leggero su un sacco di cose in vita sua e l’emigrazione era un argomento spinoso visto il periodo storico ombreggiato dall’ala nera del terrorismo e della povertà, ma lui era il singolo, trovatosi assieme alla giovane Alicia in Italia non per cercare lavoro ma per salvare sua figlia di tre anni Juanica da un aneurisma al quale in Perù non si era saputo dare tale nome. Tutto era cominciato perché Lorenzo, suo amico di infanzia di origini italiane, gli aveva parlato del dottor Tassori, celeberrimo neurologo pediatra amico della sua famiglia, così Pablo e Alicia avevano deciso di usare parte dei loro risparmi e fare questo viaggio, una volta arrivati a Roma avevano dovuto trascorrere tra visite, intervento e convalescenza, più di un mese a casa delle sorella maggiore di Lorenzo, Roma aveva avuto il suo effetto fibrillante nei bulbi oculari e nel petto della coppia inesperta che nelle ore in cui Juanica dormiva o doveva sottoporsi ad analisi specifiche senza che nessuno potesse starle fisicamente accanto, si erano buttati a capofitto nella luce splendente dei monumenti romani che sembravano pantagruelici, e lo erano per davvero tanto che i due erano costretti, presi da un’inevitabile sindrome di Stendhal a tenersi le mani sudate l’una nell’altra e stringere forte e assorbire, con le lacrime agli occhi, fino ad esplodere tutto quello che era Roma, paradiso e caos. Era successo così, non allo scopo di rubare qualcosa a qualcuno, per occupare spazio, per sentenziare su cose dette e viste, ma per la bellezza, fu per questo che avevano chiesto ad Alessia, la sorella di Lorenzo, un po’ di poter dilungare la sua ospitalità, e lei, conoscendo bene l’amicizia ventennale che legava suo fratello a Pablo, non aveva fatto una piega, e anzi lo aveva incitato a cercare un impiego e più tardi a mettersi in società con lei, ed investire l’altra sua parte dei risparmi nell’acquisto di un piccolo locale, su Viale Libia, proprio prima del ponte delle valli, e quella sarebbe diventata la lavanderia sempre pulita e dalle vetrine blu in cui Pablo lavorava tutti i giorni e Alessia sbrigava le faccende amministrative e lavorava con lui fino ad ora di pranzo.

Tutto era andato per il meglio, dunque, e adesso Juanica aveva 7 anni, undici mesi e ventinove giorni, visto che il 18 di agosto era il suo ottavo compleanno, Pablo aveva commissionato un grande semifreddo al cioccolato e pistacchio, i gusti preferiti di Juanica, al pasticciere in via Sistina, proprio di fronte alla tavola calda Barberini Spledor, in cui lavorava Alicia. Giacomo, il pasticcere, era un romano alto e dalle guance rosa, una persona sempre disponibile e dalle mani chiare, tanto erano lavate e insaponate tutto il giorno, insultava chi se ne andava senza salutare, batteva un colpo sul suo grembiule lattiginoso facendolo rimbalzare sullo stomaco ed esordendo con ‘Li mortacci loro, pieni de sordi e senza na lira d’educazione n’tasca’, gli piacevano le persone oneste, ed era facile immaginare perché era diventato un grande amico di Pablo, discutevano tutta la sera davanti ad una birra, nel baretto accanto alla pasticceria oramai buia da diverse ore, dividendo un piatto di patatine col barista annoiato dalla oramai poca folla di turisti notturni, facendo rimbalzare per le luci soffuse del locale familiare storie di risse o foto di donne mezze nude che facevano arrossire Pablo proprio come un ragazzino.

Giacomo gli aveva detto di arrivare in pasticceria poco prima delle chiusura, di modo che l’aria sarebbe stata più fresca e il dolce non si sarebbe squagliato, avevano organizzato tutto, Pablo avrebbe preso il semifreddo, chiuso in una specie di grande borsa termica, e avrebbe impiegato venticinque minuti in metro, per arrivare a casa col dolce intatto. Era arrivato prima però, così aveva deciso di continuare a farsi due passi per via del Tritone, pensava a quanto sarebbe stato bello per Juanica ricevere il semifreddo coi suoi gusti preferiti, a che faccia avrebbe fatto nel vedere i disegni stilizzati col cioccolato fondente del cartone che le era sempre piaciuto tanto ‘Aladin’, col genio, il suo personaggio prediletto, che usciva stralunato dalla lampada e teneva stretto tra le mani il tappeto volante come a strozzarlo. Pablo la trattava come un fiore che potesse appassire da un momento all’altro e che quindi necessitasse di acqua e sole in continuazione, perché non era credente né ateo, quindi non aveva visto nella guarigione della bambina un miracolo, ma era convinto di averla tenuta stretta a sé col suo volere, con la sua energia, Juanica era lì ed era terrena, sorridente, con gli occhi grandi e neri, i vestiti lavati in lavanderia sempre profumati e di una candidezza disarmante mentre cadevano sul corpo ancora androgino che seguiva quello del padre come un cadetto con un mentore buono e sempre accessibile.

Aveva camminato fino a piazza San Silvestro, erano passati solo pochi minuti, e alle otto mancava ancora quasi un’ora, così sfilò dalla sua tracolla marrone la rivista venerdì, a cui quel mattino aveva solo dato un’occhiata. Da qualche anno, grazie ai libri presi in prestito da Alessia, era diventato un discreto lettore, soprattutto di scrittori sudamericani e francesi, divorava interi romanzi di Gabriel Garcia Marquez, Reinaldo Arenas o Flaubert, Maupassant, Gautier quando non c’era nessuno in lavanderia o nei momenti in cui non doveva fare nulla. Per quanto riguardasse i giornali, leggeva solo venerdì, perché il barman accanto alla lavanderia non se ne faceva nulla, così glielo portava assieme al caffè macchiato delle otto e trenta.

Si era seduto su una delle panchine di marmo di piazza San Silvestro e aveva iniziato a leggere… Il primo articolo era su Frida Khalo, il titolo a lettere nere diceva ‘Donne che non dipingono più,’, e l’intero pezzo verteva sul femminismo odierno, ma Pablo era stato completamente catturato da uno dei due quadri della pittrice, che occupava più di mezza pagina. Aveva già visto quel quadro su qualche manifesto, forse in Perù, ma ora lo ispezionava nei minimi dettagli, era una vasca da bagno coi piedi di Frida che spuntavano smaltati di rosso e creavano un perfetto riflesso, mentre uno dei suoi alluci perdeva sangue, e nell’acqua glauca e spenta navigava un caos di palazzi e corpi e frutti che manteneva uno sfondo onirico, esotico; immediatamente Pablo ricordò Puerto Malabrigo, la spiaggia calda, lui, Lorenzo, Carlos e Marcelo che avevano corso magri e leggeri sul ponte di legno fino alla distesa ventosa, e si erano buttati a terra con frutti dalle foglie verdi e fulgenti, e mangiavano a gran morsi facendo scivolare il succo sui colli sudati e le mani rotte dallo star in giro tutto il giorno, il vento caldo non era poetico, era perlopiù ancestrale, i quattro ragazzini stavano sdraiati lì dopo aver mangiato i frutti che Carlos e Marcelo rubavano al marcato la mattina, fumavano foglie di tabacco arrotolate che Lorenzo prendeva dalla cristalliera di suo padre, era l’unico benestante ma condivideva la povertà degli altri senza pretesa di sembrare uno di loro, soltanto facendo quel che voleva, guardando assieme ai tre amici il cielo che dilapidava la distesa arancio fino a restare fermo e di un colore violaceo perlato da stelle che sembravano fluttuare ad un metro da terra. Poi Pablo si rabbuiava tutto ad un tratto, e i suoi amici, in particolare Carlos e Marcelo, sapendo bene di cosa si trattava e sentendosi molto in colpa, chiedevano un po’ indignati ‘Pablo, che haces? Porque no hablas mas?’ Pablo rispondeva soltanto ‘nada, las estrellas…’ Invece lui era furioso e triste per i frutti rubati al mercato dai suoi amici, li aveva mangiati anche lui, come ogni giorno, perciò non diceva nulla, ma non poteva non sentirsi in colpa, loro avevano capito da molto il suo stato d’animo e gli dicevano sempre che era troppo onesto, Lorenzo lo rassicurava dicendogli che anche lui aveva rubato le sigarette del padre eppure nessuno lo avrebbe ammazzato per questo, e nessun altro sarebbe morto senza quelle sigarette, ma Pablo rispondeva sempre allo stesso modo, dicendo che quelle sigarette non appartenevano mica a gente del mercato. Alla fine se ne andavano sfiniti e ancora scalzi e mentre attraversavano il ponte di legno per tornare ognuno a casa propria l’umore si risollevava, domani sarebbe stato davvero un altro giorno, e Pablo non sarebbe stato un ladro nemmeno allora.

Aveva riposto la rivista con le mani le cui pieghe sembravano ancora piene di sabbia, si era chiesto che fine avevano fatto Carlos e Marcelo, se avessero per caso continuato da ladri, oppure come lui, se fossero scappati a cercare un’altra bellezza, roteando intorno ad una felicità tenue e umile.

Aveva temporeggiato un altro po’, ed era finalmente arrivato l’orario prestabilito per il ritiro del dolce. Giacomo sempre gentile gli aveva fatto lo sconto e si era rassicurato che i suoi auguri arrivassero alla piccola Juanica. Mentre parlavano nel locale Pablo aveva visto il cielo appiattirsi in preparazione del caldo acquazzone serale, infatti, uscito dalla pasticceria con l’enorme borsa termica da una parte e la tracolla dall’altra era stato subito colpito dalla pioggia, così aveva corso fino allo svincolo in Piazza Barberini e dritto a sinistra fino all’uscita della metro più vicina, scivolando e arrancando era entrato, aveva aperto la zip della borsa termica per controllare il semifreddo nel vassoio col coperchio di plastica che sembrava integro, così, di buon umore aveva preso il biglietto nella tasca della camicia a quadri, era bagnato come il resto del suo vestiario, ma senza problemi per l’obliterazione. In metro Pablo scrutava il suo riflesso, a quell’ora non c’era molta gente come nel resto del giorno, e lui fissava il tunnel buio in cui la sua figura seduta veniva inghiottita.

Fece cambio metro a Termini, trovando per un colpo di fortuna il treno per Jonio, appena arrivato ad attenderlo a porte aperte; il viaggio di circa quindici minuti era stato silenzioso e calmo; arrivato nella stazione di Libia aveva preso tutte le sue cose tirando un sospiro di sollievo per la buona riuscita del suo progetto, pensava soltanto al volto di Juanica perché quando splendeva nella massima espressione della felicità aveva lo stesso sguardo di Alicia, le stesse piccole rughe agli angoli della bocca e le ciglia folte e femminili perennemente intrise di minuscole gocce cristalline. Salite le cinque rampe di scale mobili in fretta e furia aveva tirato nuovamente fuori il biglietto per poter sbloccare il passaggio di metallo, ma ovviamente il biglietto era diventato una poltiglia di carta e numeri mescolati alla rinfusa, Pablo aveva provato due o tre volte a farlo passare nella macchina elettrica ma senza successo, aveva poi notato la porta in plastica destinata a facilitare l’uscita alle persone in sedia a rotelle e si era guardato intorno per trovare sguardi di consenso da qualcuno che lavorasse lì, ma non vedendo nessuno e timoroso che il dolce si potesse squagliare, aveva deciso di passare ugualmente, una volta oltrepassata la porta socchiusa aveva sentito qualcuno urlare e si era voltato repentinamente, aveva visto un militare dall’aspetto giovane, gli gridava qualcosa, Pablo si era avvicinato cercando di mostrare il biglietto del quale oramai era rimasto poco e niente, il militare lo aveva spinto, gli aveva detto di aprire la borsa, gli chiedeva in continuazione cosa ci fosse dentro, sembrava su di giri e veramente troppo giovane da vicino. Puntava due occhi pallidi e vuoti sotto una fronte femminea e sudata contro quelli liquidi e grandi di Pablo che facendo appello alla sua musa più sacra e linda, la pazienza, aveva sorriso e portato la mano sulla zip della borsa termica aprendo di qualche centimetro, intanto la stazione aveva sgravato e fatto scivolare via in fretta e furia tutti quelli che erano arrivati con la metro delle 20 e 25, Pablo era frettoloso e in ansia, la borsa gli era scivolata, aveva tentato di prenderla ma il militare lo aveva spinto di nuovo, questa volta quasi fino a farlo cadere a terra, insultandolo senza un motivo apparente, così Pablo aveva sospirato e sul suo volto si era schiantata un’ombra severa ed indignata ‘Ho il biglietto signore, come tutti gli altri, qui dentro porto la torta di compleanno per mia figlia, spero non l’abbia rovinata, adesso andrei.’ Con la borsa stretta tra le mani si dirigeva verso l’uscita, sempre sotto quei fanali cerei e ora spalancati del giovane militare, dopo qualche metro aveva sentito di nuovo la voce, gridava a tutto fiato ‘Fermati bastardo!’, Pablo stava per voltarsi e dirgli che aveva fretta e che capiva che fosse inesperto, aveva pensato a lui stesso all’età del militare, vent’anni forse? Accarezzava sotto un albero di falso pepe i capelli di Alicia spessi e forti, nerissimi. Era una giornata di caldo febbrile e loro erano poggiati al tronco dell’albero appiccicati dal sudore l’un l’altro, sulla soglia dell’amore florido e tenero che apriva un varco nella mente di Pablo. ‘Perché non sorridi più? Gli aveva chiesto Alicia, allarmata dall’improvviso rabbuiarsi di Pablo, non sapendo, al contrario di Marcelo, Lorenzo e Carlos, quanto fosse infinita la sua coscienza. ‘Rido rido, stai tranquilla’ gli aveva risposto lui continuando ad accarezzarle il volto, ‘Ridere non significa sorridere, che ti succede Pablo, dì la verità’ lui aveva guardato in fondo, socchiudendo un po’ gli occhi e continuando a toccare la testa di Alicia come quella di una divinità in oro, con le iridi di un chiaroveggente che tocca quel che verrà aveva guardato il cielo un po’ bruno e il mare calmo, poi aveva navigato con lo sguardo contro gli scorci mal dipinti e incancreniti proprio accanto alla spiaggia, case umili seppur familiari che annoiavano e fratturavano il suo spirito ‘Sono le stelle, Alicia’ aveva detto con un filo di voce, lei era rimasta in silenzio e gli aveva preso la mano capendo che Pablo si era affacciato dalle finestre di una casa invisibile, fissando tutto ciò che era intorno e che poteva immaginare: la fuga.

Era stato un susseguirsi di immagini come accade quasi sempre nella ragione di chiunque, una pellicola rapida e bruciata alle estremità, non era stato di certo un pensiero vero e proprio, si poteva dire di più una percezione lontana e adesso dentro di sé; avrebbe voluto pregare il militare di lasciarlo andare ma il corridoio era azzurro, e la sua ombra sempre tersa, ed era stata l’ultima cosa che aveva visto quando il colpo gli aveva frantumato il petto con un colpo sordo d’inferno e oramai era finita la riflessione e le sensazioni e la spiaggia arenata proprio sotto la casa immaginaria al centro dell’oceano, persi, risucchiati dall’attimo, torchiati dalla vacuità Marcelo, Carlos e Lorenzo, aveva perso anche Juanica e Alicia, divenute due figure piatte su uno sfondo arrugginito, sagome su muri di sobborghi italiani, finito tutto, Giacomo con le sue guance purpuree, Roma con tutti i suoi angeli dalle ali argentee puntate verso l’alto, l’estate peruviana, Frida Khalo, venerdì, un minuscolo frammento di carte stropicciate, il non male e non bene, perso tutto.

A vederlo dall’alto Pablo era rimasto come quando si viene sparati sulla schiena e il colpo trapassa lo sterno: steso a terra, con le braccia spalancate, sangue dal naso e dalla bocca ed una pozza rossa e densa che si era ingrandita sotto di lui per il doppio del suo peso. Il militare era rimasto calmo, allontanando la sua apparenza da tutto ciò che aveva potuto pensare Pablo, non era poi così tanto inesperto, o almeno non si comportava in tal modo, si mise assieme ai suoi compagni e a qualche funzionario intorno al cadavere olivastro, il treno delle 20 e 40 si era svuotato, sandali di pelle e jeans scuri passavano in gran fretta accanto all’assassinato e alla borsa termica che aperta solo da un lato di qualche centimetro, lasciava fuoriuscire il verde del pistacchio e il marrone del cioccolato che creavano un’altra pozza, e nessuno sapeva che lì dentro c’erano la lampada ed il genio ed il tappeto volante destinati ad un angelo terreno, le poche persone uscivano a con una celerità impressionante come sempre, cercando di raggiungere il prima possibile la tavola imbandita o la donna nuda dalle labbra scarlatte accaldata e insaziabile sul letto di rame o la televisione piena di scene e strappi che restavano illuminati in una registrazione mai persa, mai finita, e Pablo era rimasto lì, ovviamente, preso per uno qualsiasi, un venditore di CD, forse? Un venditore di collanine? Un gastronomo immigrato e sottopagato che aveva rubato il lavoro a chissà veramente chi e adesso se ne stava lì giustiziato per aver rubato qualcosa a chissà chi altro?

E nessuno si era chiesto di Juanica e Alicia, e di una terra rimasta indietro, proprio sulle sponde bluastre dell’oceano, e quella di Pablo non s’era mai mutata, in quegli istanti, era nata e morta lì soltanto come una storia di un uomo steso a terra.

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