STRANGER

Tutti i posti che hai pensato
tuoi, ti hanno scordato.
Hanno misurato così
la tua interminabile stagione,
il tuo famoso sempre, meno
di un frinire on the rocks
nel mezzo di un’estate, meno
della sgasata
notturna di una moto, di una
deglutizione,
di un trasalimento.
Hanno seguitato a consumarsi
d’albe, a levigarsi alla raspa
delle sere, hanno esalato fetori
di cassonetti, si sono scrostati,
sono stati rinfrescati, sono
sopravvissuti attoniti alla chiusura
della Sma, del cartolaio,
all’attivarsi vespertino
dei lampioni, unisono,
per cancellare non una
volta ma molte il punto
profondo dove resta l’impronta
della scarpa, la sopravvivenza
labile di quello che
con supponenza
chiamavi
appartenenza.
Ora che ripassi di lì
non ti riconoscono
i luoghi e il viale non s’apre
più ai tuoi passi.
Tu sorridi complice
e ammicchi ai muri, alla ghiaia
allo schiamazzo
di una classe
senza vederne l’imbarazzo.

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