Sul degustarmi

Non l’ho voluto io
il torchio ad avvitarmi
in spirali di samsara
avrei voluto un pizzico
di adenoidi fino alla plancia
della mia argilla.

Ho potuto toccare
il satinato delle unghia
di nicotina imbevute
dal bianco arancio,
un filo di fumo
a manifestare l’anima.

Avrei potuto
allevare sguardi
per condurli
nella mancanza d’amore
per scappare poi
come scappa la libertà
dai numeri.

Ho in realtà tirato
all’estremo pericolo
della mia figura
disegnata sull’asfalto,
il trasformarsi
in bambola di pezza annacquata
da una lingua
in acclamazione sul capolino.

Solo scorgere dal fratto
mi permette di abbaiare
per non gettare
pancia a terra
e braccia alla guerra

come fa il rancido
per non farsi degustare.

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