T’AMO

E’ una struttura esterna
contenitiva
che vorrebbe proteggere un fragile
io, l’arsenale dei gesti,
il rovesciare il capo
all’indietro, umettarsi le labbra,
strofinare le palpebre
con la nocca dell’indice destro
al rintocco dei ricordi
più crudi;
e una formazione
di compromesso
prenderle la bocca in bocca
per non morderla a sangue
e una rimozione
nient’altro
dare per certa la devozione
di chi è stato devoto e un atto
mancato
chiamare alba ogni alba
come continuasse ad essere
esattamente quello
che s’intendeva
fin dentro nel ventre
quando si diceva alba
e fuori
era l’alba.
È con siffatta attrezzatura,
schioppi rugginosi, una giberna
di paure ardite, l’ultimo
di tutti i fiori del mondo,
con questa dotazione
di sopravvivenza
che ali fate ogni piè
sospinto
al folle volo.
Ma io no.
Io no io no io no.
Io
in piedi su una scatola di ceci
mi reclamo altro
tutt’altro
e tu con me
che mi servi da prova
e per questo
t’amo.

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