TERAPIA DI SUPPORTO

La presenza di un numero n di giovani esemplari di specie umana riuniti in una stanza e contenente i due generi in egual proporzione, produce un suono complesso e variegato del tutto tipico, una sorta di ondivago ciaccolare che sta ai gruppi di questi primati come il picchiettare ticchettante dei becchi e lo stridio delle grida sta, per esempio, agli stormi di phoenicopterus ruber, quando sono al bagno sulle rive di un lago keniota.
Controllato l’orologio alla parete, il prof. Consorti, antropologo, sociologo, decano della psichiatria nazionale e ordinario della cattedra di Psicologia Aziendale, si costrinse non senza una certa riluttanza ad abbandonare la propria riflessione e a colpire più volte il piano della cattedra con il palmo della mano.
L’ondivago ciaccolare decrebbe velocemente d’intensità e nell’aula si fece silenzio.
“Buongiorno a tutti. Come ci siamo raccontati nelle scorse lezioni, il cosiddetto Psycological Counseling, la psicologia di supporto, consiste nell’orientare, sostenere, supportare, una persona che pur non essendo affetta da un evidente disturbo, è in difficoltà nel prendere una decisione, risolvere una crisi, migliorare la propria performance lavorativa e, di conseguenza, esistenziale.
Per rendere la trattazione meno astratta, vedremo oggi insieme un audiovisivo che documenta una normale seduta di P.C. Siete pregati di mantenere il silenzio durante la visione. Ci tengo a precisare che il contenuto del filmato sarà oggetto d’esame.”
Le luci si spensero ad opera di un bidello volenteroso che da qualche minuto si adoperava misteriosamente a destra e a sinistra della cattedra.
La lavagna multimediale si illuminò e la voce eruppe improvvisa dagli altoparlanti.
“E quale sarebbe alla fine questo pensiero che le impedisce di concentrarsi? Che le dà il tormento e non le consente di dare il meglio di sé?”
Il video era partito di botto, senza preparazione, la seduta terapeutica era chiaramente già iniziata, la stanza in cui si svolgeva la ripresa era luminosa e si intravedeva un divano verde con una lampada da tavolo accanto. La voce sembrava quella di Consorti, ma era decisamente più giovane.
“Io non ho un meglio di me da dare”.
La paziente era inquadrata di spalle. Aveva i capelli ricci e chiari e più o meno, a giudicare da quel che si poteva vedere, l’età di una delle studentesse che nell’anfiteatro stavano assistendo in silenzio alla proiezione.
“A che servono queste frasi? A farsi compatire?”
Il silenzio a quel punto durava a lungo, difficile dire quanto. Solo le spalle della giovane si alzavano e si abbassavano in un respiro regolare, forse appena tremante. Del terapeuta venivano inquadrate le mani che uscivano dai polsini della camicia a righe. Immobili, intrecciate, in attesa, la fede d’oro sottile, l’orologio di foggia superata, i peli neri sul dorso delle dita.
“Io vedo sempre i miei genitori a terra, e mio fratello là sotto steso sul marciapiede”.
Le parole detonavano come piccole mine nel silenzio lucente della stanza.
“Se la sente di raccontarmi?” diceva la voce maschile.
“C’è poco da raccontare. Mio padre l’ho preso d’incontro mentre mi urlava addosso come al solito. Aveva ricominciato con quella storia del futuro e del lavoro sicuro. Ho sentito la lama sprofondargli nella pancia pelosa e la mia mano inondarsi di succo appiccicoso. L’ho lasciato con lo sguardo stupefatto a tenersi le budella che uscivano dalla canottiera a coste in mezzo al salotto. Mia madre dall’altra stanza continuava a lanciare delle urla che avrebbero spaccato il cervello ad un sordo. Sempre a dare addosso al marito a meno che non si trattasse di dare addosso a me: allora di colpo la sintonia tra i due diveniva assoluta e regnava l’armonia. Le ho dato quel che da troppo tempo si meritava. Quando sono uscita dalla cucina teneva gli occhi aperti e la nuca in bilico sul tavolo della cucina. Mio fratello se ne stava sul terrazzo a fumare di nascosto e come al solito non s’era accorto di niente. Nemmeno l’ho interpellato, tanto sapevo già che non sarebbe servito a nulla. Senza una parola gli ho dato una piccola lezione privata di volo e sono stata a guardarlo mentre si produceva in un mediocre atterraggio cinque piani più in basso. Era un dopopranzo d’Aprile di quattro anni fa.”
Nell’aula si levò un brusio sommesso. La bocca di Consorti emise una sorta di sibilo che riportò immediatamente il silenzio.
“Quindi si è liberata, alla fine. E cos’è dunque che la disturba, adesso? Cosa la tormenta?” stava dicendo il terapeuta.
“Si è vero. Come dice lei da quel giorno sono stata ufficialmente libera…”
“Ma?”
“Purtroppo quasi nulla è andato come speravo. Non sono stata capace di combinare niente, per dirla tutta, e nemmeno sono stata in grado di essere felice. Quasi subito è arrivata questa visione dei miei familiari che ha preso a darmi il tormento. Ogni giorno di più. Ormai non riesco a far nulla senza che il pensiero di loro mi si riaffacci alla mente e oggi, me ne rendo conto, mi ritrovo come se non fosse cambiato nulla. Mio padre continua a minacciarmi e a rimproverarmi. Mia madre urla dall’altra stanza. Mio fratello fuma e se ne frega.”
“Forse i limiti che la soffocavano lei se li portava dentro, non le venivano veramente imposti da altri.”
“Forse. Ma io stavolta non non so come uscirne. Non credo di farcela ad eliminare tutto questo con quattro coltellate e una spinta.”
“Io credo che lei si dovrebbe concentrare sulle sue doti e lavorare su quelle. Il coraggio e la rapidità d’azione intanto, e la determinazione. Non è da tutti, credo, fare quel che lei ha saputo fare. Voglio dire la freddezza di colpire a morte tre persone che pensava ostacolassero il suo percorso, non tutti avrebbero avuto il coraggio di farlo”
“Lei dice?”
“E lei invece che cosa dice?”
“Be’ sì, forse ha ragione…”
“Non pensa che dovrebbe ripartire da lì?”
“Forse. Se lo dice lei…”
“Che lavori ha intrapreso in questi quattro anni?”
“Lavori dice? Parecchi, sono stata Product Manager di un’azienda di medie dimensioni e Brand Manager in un’altra più piccola ma con buone possibilità di espansione. Negli ultimi sei mesi mi sono occupata di trading online con risultati purtroppo deludenti”
“Che cosa non ha funzionato secondo lei?”
“Dopo un avvio promettente, puntualmente mi sedevo, non riuscivo a fare il salto, capisce? Era come se mi continuassero a risuonare nella mente i tormentoni dei miei genitori, robe sull’impiego sicuro, meglio se nella pubblica amministrazione, sull’importanza degli affetti, del tempo libero e cose di questo genere. Così mi trovavo a dubitare di me e qualcosa dentro si rompeva”
“Lo vede? Deve ripartire da lì. I suoi genitori, mi capisca, li deve ammazzare di nuovo, non ha scelta, e questa volta per sempre. Ha mai pensato di occuparsi di ristrutturazione aziendale?”
“Intende dire di licenziamenti? Tipo la tagliatrice di teste?”
“Io non potrei darle consigli. Deve scegliere lei se un ambito del genere può interessarla ma io credo che in questo campo le doti di cui dicevamo, e che certo non le mancano, sarebbero valorizzate al meglio”.
“E lei dice che così anche tutto il resto andrebbe a posto?”
“Non è’ improbabile, no. Credo sia possibile.”
“Mi fa bene parlare con lei, lo sa?”
“Nei giorni a venire si eserciterà almeno una volta al giorno a ripercorrere con la mente la strage della sua famiglia. Provi a inserire anche nuove vittime se ci riesce, avversari, competitors, e ad immaginare nuovi modi di toglierseli dai piedi. Le sarei grato se potesse segnare ogni cosa su un quaderno e portarmelo la prossima volta, giovedì, sempre a quest’ora. Faremo insieme il punto dei progressi fatti.”
“Alla prossima seduta allora, dottore. E grazie”
“Alla prossima”.
Le luci nella stanza si accesero e il bidello con la cappa nera uscì dall’aula.
L’uditorio rimase immobile e silenzioso con lo sguardo rivolto al professore.
“Ci sono domande?” disse Conforti a voce alta per essere udito nei banchi più lontani. Nonostante l’età aveva una voce ancora stentorea.
Nessuno si mosse.
“Allora possiamo aggiornarci alla prossima lezione”.
I ragazzi si accinsero ad ad alzarsi ma prima che tutti fossero in piedi uno studente della prima fila sollevò il braccio.
Il professore lo guardò con un’espressione neutra.
“Dica pure”
Con malcelata insofferenza gli studenti si riaccomodarono nei banchi, si disposero nuovamente in posizione d’ascolto e rivolsero gli sguardi impazienti al loro compagno, tutti contemporaneamente.
“Ehm, io…”
“Dica, dica, l’ascoltiamo”.
Passarono una trentina di secondi intervallati da alcuni scricchiolii di legno, un certo numero di sospiri e qualche colpo di tosse.
“Niente Professore. Era una sciocchezza. Abbia pazienza e mi scusi.”
“D’accordo. Allora ci vediamo dopodomani. Buona giornata a tutti.”

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