Teresùn

Maria Teresa, meglio conosciuta come Teresùn per distinguerla dall’altra sua omonima e coetanea della quale, come suggerisce il soprannome, era decisamente più alta, stava a servizio da madama Costaguta, la signora più influente per non dire l’unica signora influente del paese.
Teresùn conduceva un’esistenza semplice e monotona e nulla nella sua vita lasciava anche solo lontanamente intendere che mai avrebbero potuto verificarsi eventi straordinari, capaci di cambiarne il corso.
Corso che pareva già bell’e segnato: gli studi obbligatori, non un giorno di più, la modesta condizione, il mestiere privo di prospettive, la gioventù che già aveva preso ad allontanarsi, veloce come un sogno, portandosi via quel poco di bellezza che le aveva regalato, tutto questo e molto altro rendevano fin troppo facile prevedere dove la storia di Teresùn volesse andare a parare.
Ma il caso decise di tirare diversamente i dadi di quella vita senza promesse.
Venne un giorno a far visita ai Costaguta un signore di Torino, facoltoso e molto affascinante.
Non appena Teresùn lo vide nel salotto conversare con la madama ebbe un batticuore, di quelli da sentirsi mancare, di quelli stupidi, però, che prendono quando si guardano le persone inarrivabili, gli attori famosi, i principi.
Non poteva sapere, la Teresùn, che stava per succedere l’incredibile.
Il signore, inspiegabilmente, notò quella domestica resa un po’ maldestra dall’emozione, se ne innamorò e da lì a breve la volle in sposa.
Maria Teresa, come la chiamava il marito, per intero, non più Teresùn la domestica dei Costaguta, si trovò a vivere in Piazza Bodoni, in pieno centro, in una casa bellissima che non avrebbe mai sognato nemmeno a mettercisi d’impegno e voler proprio sognare l’impossibile. Da lì a breve rimase incinta ed ebbe un bimbo. Sanissimo, bellissimo.
Tutto nella sua vita di colpo s’era fatto perfetto: l’amore del figlio e del marito, l’agiatezza e con essa i piccoli lussi, che a lei continuavano a parere immensi, i viaggi, i bei vestiti e persino il teatro Regio, qualche volta alla sera, sottobraccio al marito, come nelle favole.
Tutto era perfetto nella vita di Teresùn, tutto.
Ma in mezzo a tutta quella perfezione, in mezzo a quella gran felicità, a Teresùn successe qualcosa.
Teresùn improvvisamente perse il senno.
Così, semplicemente.
Prese a piangere, ogni giorno, senza ragione apparente, e poco alla volta non riuscì più ad occuparsi del bambino né il marito poté più abbracciarla né avvicinarla.
“Quanto dovrò pagare? Quanto dovrò pagare?” ripeteva senza sosta quando qualcuno la interrogava. E ancora “Chi ha pagato per me? Chi sta pagando ora?”
Ed era così accorata, così disperata nel profondo, mentre rivolgeva a chiunque la interrogasse queste sue domande senza risposta, che strappava il cuore a sentirla.
“Che cosa ho fatto io per meritarmi tutto questo?” gridava al marito che chiamava uno specialista dopo l’altro, senza riuscire a rassegnarsi, senza poter capire.
Finì internata.
“Io non me lo merito. Io non vi merito” disse salutando la sua famiglia mentre saliva sulla macchina che la portava a Collegno, dove sarebbe rimasta per anni.
Uscì molte volte, poi rientrò, poi uscì di nuovo.
Quando alla fine fu dichiarata guarita, la vita era ormai trascorsa e ne restava solo un avanzo. Un marito anziano e un figlio grande, cresciuto lontano da lei.
Rientrò ugualmente nei suoi panni, che erano stati perfetti per un momento breve, e lì restò fino al congedo.
Come una reduce, come un’invalida, come un vittima della grande guerra.
Come una falena, bruciata per sempre dalla troppa luce.

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