Peggio di quella sera in cui
passavi per via del Tritone e vedevi qualcuno
chiudere bottega
e qualcun altro rassegnarsi a star sveglio
e fermo nella notte sola
Peggio dei ratti sotto la mia casa immaginaria
che correvano guardandosi impauriti
gridando che la guerra era finita
Ma io, vedi, digrigno i denti
nell’oscurità di questo primo piano
che a volte pare proprio un acquario di fogliame
una specie di lastra che mostra alle mie tende
le ombre dipinte dietro le finestre del palazzo qui accanto
e le voci degli zingari muniti di lanterne introspettive
bianche proprio come un’anima fulgente
che fruga nel cassonetto in cerca del candore
Sono qui, accanto ad un mostro blu,
ho terra e fiori che partono dalla nuca e finiscono
rampicanti proprio al centro della testa
mentre annuisco e smetto di pensare
che tu non capisci la mia letteratura
è così lontana da ciò che disegno
dalla missionaria mattutina
dei popoli miseri nelle case nere
dal ponte delle Valli pieno zeppo di uomini e donne
che immagino abbiano nomi brevi fatti per restare impressi
solo quelli, senza volto
è così lontana dai cinema indipendenti incastrati perfettamente dentro villa borghese
è così fuori luogo e fuori mano
come un paese sconosciuto sempre costretto a piegarsi
alla bruma e ai colori sciolti
Mi cade tutto addosso
la tela coi suoi timori
e ogni cosa è pronta a mescolarsi,
e sono finiti i trucchi di sinonimi
le parole inventate
sono finiti da tempo i detriti delle piccole città
pronti a essere riutilizzati come buonipasto per cittadini onesti
Adesso c’è Metropoli
e lei porta in grembo la testa di Atena
e l’occhio del mondo
ma tu non puoi descriverla
perché fai parte di una comunità sconvolta e senza parole
e ti viene in mente tutto questo
e mille altre cose ancora
ma hai le mani serrate ed infilate con forza nella tua nuova felpa
taglia M
che poi non è proprio tua
ma appartiene al Natale di qualcun altro
e dici che proprio non lo sai, a questo punto,
ma che ti sembra tutto veramente alquanto
inesatto.