La tragedia dell’alluvione in Burkina Faso, la terra degli uomini…diversi dai politici (2009)

bf

 

 

Pubblico questo reportage, scritto durante un viaggio nel settembre 2009 in Burkina Faso, dove ero arrivato il giorno dopo una fortissima alluvione che aveva colpito diversi paesi dell’Africa Occidentale, senza che niente o quasi fosse riportato dai media occidentali. Esso contiene una restituzione interessante della situazione storica, sociale e politica locale, tornata al centro dell’attenzione mediatica a seguito delle manifestazioni popolari e della presa del potere da parte dei vertici militari, che hanno deposto l’ex presidente-dittatore Compaoré.

http://cusa.noblogs.org/2012/01/30/la-tragedia-dell%E2%80%99alluvione-in-burkina-faso-la-terra-degli-uomini%E2%80%A6diversi-dai-politici-gia-pubblicato-il-130909-su-cusa-splinder-com/

http://www.isf-firenze.org/

 

 

Due giorni prima della partenza mando un SMS a Riccardo per ricordargli che – come d’accordo – lo avrei chiamato il giorno dopo per salutarlo e fargli sapere l’orario preciso del mio arrivo all’aeroporto di Ouaga. La risposta mi arriva solo dopo la mezzanotte: “Oh Edo, oggi ci è successa una cosa incredibile, ma te la dirò solo quando arrivi, non prima.” Rispondo senza molta convinzione: “Ok, spero solo che sia una cosa buona…”

Rimaniamo d’accordo che per spendere meno sarà lui a chiamarmi il giorno dopo, ma non sentendolo fino al tardo pomeriggio mi preoccupo un po’ e afferro il cellulare per ripetere la strategia dell’SMS. Stavolta la risposta arriva immediata: “Edo, oggi ha piovuto in maniera esagerata. I barrage hanno straripato e la città è allagata.” Affogo in un pensiero ribelle le mie paure di ragazzo occidentale che non è mai stato in Africa e comincio a capire che le cose incredibili sono all’ordine del giorno, in Burkina Faso.

Ci sono apparentemente ben poche ragioni per scegliere di organizzare le proprie sole due settimane di ferie dopo un mese e mezzo di straordinari, acquistando un biglietto Firenze-Parigi/Parigi-Ouagadougou. Se non quella di avere un amico che è presidente della sezione fiorentina dell’associazione internazionale “Ingegneri Senza Frontiere” e si trova giù da oltre un mese insieme ad altri attivisti, per lavorare ad un progetto sulla qualità dell’acqua in un villaggio situato in una delle regioni più povere del Paese, in piena savana. Ma più nel profondo, c’è la voglia di scoprire come vive e come pensa un popolo che le statistiche ONU considerano fra i 5 più poveri del Mondo. Chiedendosi come si chiedeva Gerardina Trovato in uno dei suoi dischi: “Chissà se si muore davvero”.

Visto anche che ne so davvero poco di ingegneria, sono già d’accordo da mesi con Riccardo che arriverò solo il 2 Settembre, quando cioè il periodo di lavoro al progetto sarà terminato, e andremo a farci un giro insieme per il Paese. Ed al mio arrivo tutto sembrerebbe tranquillo. Capisco però fin dalla prima sera che non sarà un viaggio come tutti gli altri. Siamo a cena fuori io, lui e Lara, l’unica ancora rimasta dell’equipe di ISF che sarà con noi per tutta la prima parte del viaggio. La cronaca che mi restituiscono è drammatica:

Quest’anno la stagione delle piogge è arrivata in ritardo e la scarsa acqua caduta fra Luglio ed Agosto – solitamente i mesi centrali – faceva già presagire un’annata difficile soprattutto nelle campagne, dove in assenza di corsi d’acqua i pochi mesi di pioggia sono fondamentali ad un’agricoltura molto spesso di sussistenza. Poi improvvisamente il 1° Settembre ha diluviato ininterrottamente dalle 04:30/05:00 del mattino fino alle 03:00 del pomeriggio, rovesciando al suolo su più o meno tutto il territorio circa 300 mm d’acqua, ovvero circa un terzo in un sol giorno dell’intera media annuale delle precipitazioni nel Burkina. Anche nei vicini Senegal e Mali sembra che si siano verificate precipitazioni di proporzioni simili.

Ad Ouagadougou – la capitale, nella quale ci troviamo – come già mi anticipava Ricca i barrage, ovvero gli sbarramenti-diga dei corsi d’acqua che ne forniscono alla città, hanno straripato allagandola e riempiendosi a loro volta di cadaveri. All’ospedale cittadino hanno praticamente dovuto allestire un reparto di rianimazione in strada, tante erano le persone che avevano bisogno di una maschera ad ossigeno. Le stime attendibili parlano di almeno 30 morti e di 150.000 sfollati la cui abitazione è andata distrutta. Tutto questo soprattutto nelle periferie, ed in particolare nelle così dette “zone non lottizzate”, dove cioè le capanne di fango non sono neanche riconosciute dall’amministrazione municipale e considerate “sicure”.

Stime che Riccardo ha potuto avere solo grazie ad un suo amico della società statale di potabilizzazione e diffusione delle acque. Perché il governo ha dichiarato solo 8 morti in tutto il Burkina – nonostante abbia ufficialmente chiesto lo stato di calamità naturale – mentre rifiuta gli aiuti volontari offerti da cittadini occidentali per evitare che la verità travalichi i confini del Paese. Ma queste stesse stime sono da considerarsi al ribasso, poiché nessun ente governativo è in grado di sapere cosa sia successo veramente nelle zone non lottizzate – dove verosimilmente vive quasi la metà della popolazione reale della capitale – in quanto per lo Stato la gente che abita lì semplicemente non esiste. Dunque è probabile che il vero numero attendibile di vittime possa superare il centinaio.

Davanti ad un buon piatto di Brochette de Capitaine (spiedone di pesce tipico locale), Ricca e Lara mi fanno sapere che hanno già parlato con la nostra guida del posto per andare il giorno dopo a visitare alcune delle zone della città devastate dall’alluvione. Ci sentiamo subito in dovere di rompere il muro di silenzio e menzogne innalzato dal regime, per far giungere la verità e l’informazione anche in Italia.

E’ così che il 3 Settembre verso ora di pranzo ci troviamo nel quartiere di Bonam dentro uno dei tanti Kabare, ovvero le capanne dove la gente si ritrova fra amici e familiari per discutere bevendo Dolo, una specie di birra di miglio, ideale per far venire la prima diarrea africana a qualsiasi occidentale. L’argomento del giorno è pressoché scontato. Qualcuno prende la parola ed esclama: <<E’ stato capace di trovare solo 25.000 posti in totale con più di 150.000 sfollati nella sola Ouaga. A lui fa comodo smaltire un po’ della popolazione di troppo nelle periferie non lottizzate. Lui vi regala le magliette in campagna elettorale e voi lo andate a votare. Ora che non avete più la casa…tenetevi pure le magliette!>>.

Il “lui” in questione è Blaise Compaoré, il presidente\dittatore che dal 1987 ormai è alla guida del Burkina Faso grazie all’ultimo di una serie di golpe militari iniziati dal 1966 – appena 6 anni dopo l’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia – al quale dal 1991 ha provato a dare una parvenza di democraticità vincendo ripetutamente le elezioni. Peccato che – mi spiega Riccardo – chi si oppone veramente alle politiche ed alla corruzione del presidente venga con una certa facilità fatto fuori di nascosto.

E pensare che Blaise è riconosciuto da un rapporto dell’ONU del 2004 come organizzatore di traffici con l’UNITA che alimentavano la guerra civile in Angola, così come ha poi fatto con Charles Taylor nella guerra civile in Liberia e in Sierra Leone e nel recente conflitto in Costa d’Avorio. E’ citato negli elenchi dell’inchiesta che si segue contro lo stesso Taylor, uno dei peggiori autori di crimini contro l’umanità processato attualmente davanti al Tribunale dell’Aia, e ha mandato in cambio di importanti partite di pietre preziose, i soldati del Burkina Faso a lottare con lui, trasformandosi in uno dei capi di stato più ricchi del continente.

I suoi tentativi di mediazione nelle crisi regionali fanno parte della campagna di pulizia della sua immagine per giustificare i suoi crimini e perpetuarsi al potere. Pulizia che gli era valsa il Premio Galileo per la mediazione nei conflitti etnici e sociali – sulla scia del quale doveva essere candidato anche al Nobel per la pace – la cui consegna il 25 giugno 2008 a Firenze è stata evitata solo grazie ad una mobilitazione dal basso organizzata principalmente dal Comitato Thomas Sankara fiorentino.

Dopo pranzo ci spostiamo fra gli acquitrini verso il quartiere di Sondgo, poco distante dalle zone non lottizzate. Qui la furia delle acque sembra aver danneggiato o raso al suolo quasi tutto. Abbiamo modo di parlare col responsabile di quartiere, il quale ci dice: <<E meno male che la pioggia è iniziata di primissimo mattino, quando un po’ di gente era già in piedi per iniziare a lavorare. Se il diluvio fosse arrivato in piena notte molti sarebbero rimasti schiacciati sotto il peso delle proprie case e capanne crollate, e saremmo ancora qui a contare i cadaveri. Gli sfollati sono rifugiati provvisoriamente dentro la scuola, ma dal 1° Ottobre ricominceranno le lezioni e dovranno andarsene. Lo Stato non sborserà un franco per la ricostruzione, gli aiuti umanitari che fa arrivare non bastano neanche a far mangiare una volta al giorno la gente qui nella scuola. Chi non potrà pagare per rifarsi la casa tornerà verso i villaggi nelle campagne, dove sicuramente farà la fame non avendo potuto coltivare niente durante la stagione delle piogge>>.

Mentre cerco confuso di prendere appunti, in poco tempo molta della gente presente davanti dalla scuola – decine fra uomini, donne, bambini e bambine – si è accalcata intorno a noi, pensando forse che un gruppo di occidentali potesse essere lì per risolvere la situazione. Un amico della nostra guida ci dice: <<Ho 46 anni. Mai vista una pioggia del genere. L’acqua arrivava fino alla vita. Anche i vecchi dicono che era da più di cinquant’anni che non pioveva in questo modo>>. Impossibile allora non chiedersi quanto tutto ciò possa avere a che fare con i cambiamenti climatici che sempre più repentinamente si stanno verificando sulla Terra negli ultimi decenni, e dei quali i primi a fare le spese sono proprio coloro che non ne sono responsabili. Quando torniamo verso la macchina Riccardo sembra pensieroso. Poi a un certo punto indica con la testa la scuola ormai alle nostre spalle e mi fa: <<Non voglio fare il pessimista, ma secondo me la metà di questa gente al prossimo anno non ci arriva…>>. Lui la vita qua e le sue aspettative le conosce bene. Ed allora ci sentiamo inermi al pensiero che quello di Sondgo è comunque solo uno dei tanti quartieri di periferia che versano sicuramente in condizioni simili, al confine con zone non lottizzate e andate probabilmente distrutte. Senza contare quel che può essere successo nelle altre città e nei villaggi.

Ma quello che ci lascia veramente inermi – noi che veniamo da una parte del Mondo dove ci si azzuffa per un divieto di sosta – sono la forza e la vitalità con le quali i burkinabé reagiscono ad una catastrofe di queste proporzioni. Non si sente mai un bimbo o una bimba che pianga, mai una scena di disperazione.

E apparentemente non potrebbe essere diversamente: siamo in “Burkina Faso”, alla lettera, la “terra degli incorruttibili” o “degli uomini onesti”. Come volle ribattezzarla dal vecchio nome coloniale di Alto Volta, Thomas Sankara – il “Che Guevara africano” – all’indomani della rivoluzione e del colpo di Stato che fra il 1983 e il 1984 avrebbero dato tante speranze ed illusioni al popolo. Prima che il suo vecchio amico e compagno Blaise gli mandasse tanto di commando militare dietro mandato della Francia e della Costa d’Avorio – ma stando a quanto emerso più recentemente, anche di Taylor, della CIA e di Gheddafi – per farlo assassinare e poi denigrare durante tutti questi anni di potere incontrastato. Una terra degli uomini forse molto diversi dai propri governanti. Pure questo ho iniziato a intuirlo fin dalla prima sera a cena, quando Riccardo e Lara hanno anche deciso di svelarmi cosa fosse quella cosa incredibile che era accaduta loro il giorno prima dell’alluvione:

<<Verso il tardo pomeriggio siamo andati con un nostro amico e suo cugino a farci un giro in motorino per Ouaga 2000, il nuovissimo quartiere ricco della città. Siamo passati davanti al palazzo presidenziale che è più grande della Casa Bianca – giusto per vederlo da fuori – dove abita e governa Compaoré. Giravano alcune auto ed alcuni motorini tutti in borghese, apparentemente tutti passanti come noi. Fin quando un’auto di queste ci ha sorpassati e bloccato la strada. Sono arrivati anche altri in motorino e gente sbucata dalle siepi, tutti coi mitra puntati. Dall’auto è sceso un uomo che ci ha ritirato a tutti i documenti, ci ha fatto perquisire zaini e macchine fotografiche e poi ha fatto una parte assurda ai nostri due amici burkinabé. Dicendo loro che dovevano sapere che quell’area era interdetta al traffico la sera e la notte, quando in realtà nessun cartello sulla strada segnalava niente del genere>>.

Nessuno degli uomini che li ha fermati e perquisiti si è mai minimamente qualificato. Ma hanno saputo da una loro conoscente della missione della Diocesi di Lucca che si trattava della polizia personale del presidente, con tanto di capo sceso dalla macchina. Sembra che abbiano avuto paura della presenza di due occidentali e che probabilmente li abbiano tenuti lì ore in stato di fermo in un punto preciso e separato perché pieno di microfoni nascosti, aspettando che si dicessero qualcosa che potesse incastrarli. Sembra possibile che qualcuno di loro quattro abbia avuto il telefono sotto controllo e che se non si fossero fermati gli avrebbero anche potuto sparare. Il giorno dopo Ricca e Lara vanno a riprendere i documenti, ma la telefonata del capo ad uno dei loro amici non si fa attendere: <<Ho tenuto una copia dei vostri documenti, ora siete sulla banca dati della polizia>>. E’ un messaggio in codice per far capire che i due occidentali hanno mancato di una “cortesia”. Il giorno dopo questo va e paga la consueta tangente.

Pare anche che il regime userà le finte promesse di ricostruzione per la campagna elettorale in vista delle elezioni che si terranno nel 2010. Il popolo burkinabé non merita tutto questo – come non lo merita nessuno – e non merita il silenzio sotto il quale la verità è stata censurata. Un popolo a cui è impossibile non voler bene e che ameremo ancora di più il giorno in cui sapremo che un tiranno in meno calpesta – almeno come tale – il suolo di questa Terra. Mentre rientriamo a casa in taxi dal nostro giro per le periferie, passiamo vicino ad un cantiere nei pressi di un altro quartiere distrutto. Il tassista si rivolge ironico alla nostra guida: <<Hai visto? Fra poco qui avremo un bel sovrappasso ipermoderno al posto dell’incrocio…>> e poi facendosi serio <<dovrebbero preoccuparsi di costruire un bel sistema di drenaggio della città fatto come si deve, è di questo che abbiamo veramente bisogno!..>>. Allora questa lo apostrofa sibillino: <<Sai com’è, col 60% di analfabeti…ogni paese ha quello che si merita>>.

Loading

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.