A Sebastiano A. Patané Ferro

A TE O POETA  (da Annamaria Giannini)

Ciao Seba. Intanto beccati il palindromo che ci ha fatto incontrare. Il tuo primo ” Mi piace” a un mio post. Sono andata a sbirciare il tuo profilo subito dopo e sono stata sopraffatta dalla tua poesia. Da lì a volerci bene è storia lunga e presto abbiamo sentito l’esigenza di un incontro, fino a diventare casa uno per l’altro.
Di te, della tua arte e del tuo percorso poetico ne parleranno in tanti questa settimana, condividerò ogni singola parola ma io, voglio scrivere a chi non ti conosceva la persona, quel meraviglioso grumo d’imperfezione e genialità che prendeva a morsi la vita, ogni giorno, tutti i giorni.
Non credo riuscirò a uscirne tanto presto da questa lettera, sai?
Già mi sembra strano che stamattina tutto sia così uguale a sempre, dal caffè senza zucchero a questo sole sfacciato che mi rimbalza addosso con noncuranza, come io non avessi perso un fratello e il mondo, un Poeta. Da dove inizio a raccontarti? Come si narra un uomo che ha vissuto mille vite? Da che parte ti devo prendere per cominciare a girarti attorno?
Dall’Anarchico sempre pronto a scagliarsi contro l’ingiustizia, dall’Artista da strada, o dallo scrittore che riusciva a incidere sulla carta rabbia e amore, con la stessa facilità con cui le altre persone respirano? Partiamo dall’Amico? Quello sempre pronto ad ascoltare, senza consigli da dare, se non quella spalla pronta ad accogliere, la casa sempre aperta, il tuo letto sempre a disposizione, che tanto dormivi comodo in salotto!
Salotto: stanza dei poeti piuttosto. E quel muro dove ognuno di noi ha posto la sua firma, perché era orgoglio grande essere stati a casa di Patané! Significava aver passato notti a parlare di poesia, e magari scrivere e provare, dividendosi anche l’ultimo pezzo di pane. Notti di fumo e di vino, senza un solo perché che quella smisurata voglia di stare insieme, legati dalla poesia e da te Maestro, noi i tuoi satelliti e tu, la nostra Terra.
Eri sempre innamorato tu, sempre pronto a tuffarti dentro due occhi di donna impossibili e più erano impenetrabili più t’incaponivi, crogiolandoti dentro quel sentimento improbabile, dentro quella sofferenza in qualche modo cercata e voluta, e sempre così fertile di bellissime poesie d’amore. Innamorato dell’amore e incapace di vivere senza.
Ecco, già ti sto annoiando, lo so, amico mio, e vorrei cancellare tutto e poi ricominciare un’altra volta, ma ti sembrava il caso di andartene così? In questo tempo bastardo che nemmeno ci ha dato modo di un ultimo saluto, se non su quella chat che è da ieri che scorro, per ritrovarti, per controllare se ti ho detto abbastanza che ti voglio bene negli ultimi mesi, o se come spesso capita, magari ho omesso di farlo, perché il bene a volte lo diamo per scontato.

Invece no, te lo dicevo sempre. E tu lo dicevi a me.

“Ti voglio bene Strega. Salutami Piero. Arrivo presto”.

Così finisce la nostra ultima conversazione.
Facciamo una cosa, rendiamo tutto più facile scrivendo al presente, Seba.
Vuoi saperlo quando mi sono definitivamente e perdutamente innamorata di te, Maestro?

Scena: un teatro.
Spettacolo: Arrestate le rondini- il reato di migrare.
Luci basse, sul palco un uomo col cappello e la sciarpa bianca.
In mano ha il foglio del suo monologo. Parla del mare, di uomini e fughe, di onde altissime e ventri trafitti. Parla di madri e bambini rapiti dai flutti.
Commovente e straziante, allo stesso tempo potente.
L’uomo butta il foglio, comincia a declamare a memoria, la voce rotta, s’inginocchia e tende la mano fuori dal palco, come lì fosse il mare e un fratello da salvare.
Piange. E piango anch’io, piccolissima sotto quel palco. Di fronte all’Arte. Di fronte a un Poeta. Di fronte a te.

 

E adesso? E adesso Seba? Fuori è ancora Maggio e la mia chat brucia di noi che ci sentiamo orfani senza di te, Aggregatore di cuori, come ti ha chiamato ieri Donatella fotografandoti con tre parole. Bevo un altro caffè, senza zucchero e sono ancora in quel piccolo bar di Catania, fuori casa tua a fare colazione con il latte di mandorle.

Ciao Poeta.

Annamaria.

 

 

 

Requiem per Janosky (da Sebastiano Adernò)

Adernò? Ma di cosa stiamo parlando? Scommetto che mi diresti così sapendo che qualcuno mi ha chiesto di scrivere una memories su di te. Va bene, da dove vogliamo iniziare? Direi dal nostro primo incontro fortuito sulle scale del Palazzo della Cultura di Verona. Io scendevo e tu salivi. Ti dico la verità ho la memoria così piena e confusa dei nostri momenti insieme che non ricordo più quando diventammo amici, non ricordo neanche la prima volta che venni a casa tua. Ho altri ricordi, più belli, eroici. Ricordo i viaggi, le nottate, i pranzi insieme. Dove tutto era gioia, fare, costruire. Eravamo noi. Ricordo che dormivo nel lettone con te. Che al mattino andavamo a prendere il caffè. Ricordo le tue piante. Mezza Sicilia è passata da casa tua. Curiosa di conoscere un uomo di tanta Poesia. E tu ti ricordavi tutti, ed eri esempio ed incoraggiamento per chiunque si cimentasse con le parole. Avevi un’anima instancabile, da vero guerriero. Bastava un niente, non c’era bisogno di altro, perché eravamo Noi. Così passavano le ore liete, parlando, scherzando, organizzando il prossimo reading. La nostra energia era percepibile a chiunque. La nostra causa era diffondere i valori della Poesia. Ci incoraggiavamo a vicenda. E tutti ci cibavamo della stessa Utopia. La casa era piccola, ma il cuore era grandissimo. Grazie di tutto.

Canto Mesto Per Un Pescatore di Fiori (di Salvatore Zafarana)

 

Al Mastro (da redent Enzo Lomanno)

Mi hai aperto casa, nella tua bella Sicilia. È strano come a volte, persone che conosci relativamente da poco, quasi istantaneamente diventino come fratelli. In quei giorni, mi hai fatto da guida, mostrandomi bellezze nascoste della tua terra e poi su questo muro, nella tua casa, mi hai lasciato scrivere il nome, come a sancire un’intesa. Così, quando doveva uscire il mio primo libro “una piuma a babilonia” mi venne naturale chiedere a te, che per me eri un maestro, di fare la prefazione.
Tu accettasti con gioia.
Ecco, tutto questo, il muro, la tua casa, la tua poesia, il tuo calore, la tua simpatia, i Reading fatti insieme, io li ho scolpiti nel cuore.
Addio Sebastiano, fratello, amico prezioso, poeta e maestro.

 

 

Ci sono persone senza occhi
che dicono di vedere
mentre
l’universo srotola l’orizzonte
e crea nuova vita.
Mi andai a prendere
che era già mattino…
avido corro dentro alle parole
per farne poesia
ma quelle vere stanno più in là
negli invasi tra i rami nelle conche
e mi cercano…
“Compro oro e legni”

dicono che sono tanti – ciascuno un paradiso-
tutti nelle mani della fata bifronte
settantadue numerate senza buchi
senza frutti e due sole dita in forma di croce

il profeta smise di parlare mentre accusavano
campo e profughi appena sopra il fianco prima
dello zero, quando il boato evangelico avvertì i fedeli
dell’avvenuto sacrificio ma i pesci aritmetici
erano finiti senza lasciare odori

era un bluff giusto per trovarsi al matrimonio
ma gli antropologi s’intrisero di due tre coscienze
-più coscienze in una sola persona può confondere –
e a capire una trinità non fa bastare il vino né le palme
ma i soccorsi arrivarono in tempo disse l’editore
ben fornito di sacche per cadaveri speciali

eppure quando le chiesero il nome rispose senza remore
-sono Maddalena- da madre immensa
e molte pietre caddero dalle mani

sul dorso a sesto ottuso di un arcano
c’è un segno che sottrae, che disossa i martiri
e lancia un dolore e lo chiamano pensiero
come fosse l’unica forma di vita
erano tre antropologi e una stella

-Sofia, Sofia-
-sono Maddalena ho detto, ho una sedia per chi è stanco
ventuno braccia e un matto di riserva
e ci sarà un processo prima o poi

riuscirà a difenderci il corridoio ebraico più in alto delle mura
oppure Buster Keaton confonderà i segni senza sapere
che già allora certi peli crescevano al contrario?

vogliamo credere che il vento non ci porterà via
e che la riscossione delle parole andrà a buon fine
sempre che un merovingio non raccolga qualche sfida
arrotolata sotto spigolosi vetri al centro di Parigi
dove l’acqua somiglia a una madonna
e la luna è un cenno verticale senza code

chissà se a spaventarci sarà la sostituzione
dei riti deformati da certe intelligenze
per vizio o paura del corretto governo
e del giudizio ormai scoria

non correrò dietro quest’altro giorno
lascerò che si sciolga tra le ombre
come ogni parola come ogni silenzio
ma se un giorno questo giorno volesse tornare
pane e se questo pane si volesse spezzare
e nutrire tutti i silenzi, se questo pane spezzato
se questo archivio d’amore di lucido amore
diventasse ancora carne e se -non vorrei altro-
la carne riprendesse la parola che fu santa
più per giustizia che per santità
sarei certamente apostolo di questo giorno
e del silenzio che lo conduce con tutti i se
accatastati dietro gli occhi verso un’oscurità
che non si può leggere perché non è pane non è carne
non è giorno, fotografia del precedente
progetto del successivo e lo condurrei altrove
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quanta polvere attorno
e non bastano più i mezzi sguardi
l’affascinante occhi/anima
se le mani stanno solamente
tra le asole e il reggiseno
quando il corpo vuole
anche le giuste parole
ma quelle – si sa –
sono dietro al cuscino
prede di un pianto antico
in attesa…
SCRUBBER
passa attraverso le reti delle congiunzioni
negli stadi intermedi del pensiero ancora grezzo
e lava lava ogni parola-granello che non si fonde
alle ossa al sangue a quell’ammasso di immagini
e disponiamo le ali in un abbraccio che apra ogni attimo
sull’eternità di un “amo” senza convincimenti
fuori dalla logica, fuori dai vestiti
la liberazione dalle spade emozionanti
giunture dittatoriali botole sempre aperte
del sempiterno farsi male, karma umano
laviamo questo demone filamentoso che irrita
pelle e sensi e sentimenti senza distinzione
e accendiamo un’aureola sul capo
di una madonna mammifera, che possa partorirci
e allattarci
Sembra che ci guardi, maestro, con il sole che ti ferisce gli occhi, per l’ultimo saluto
Ti vogliamo bene.
Tutte le Foto, sono gentilmente concesse da Donatella D’angelo, sua amica.

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1 Comment

A Sebastiano Patane’ Ferro poeta
Hai chiuso pure l’altro occhio Seb. Corsaro d’amore, in cui gli amici erano il tuo tesoro. Vecchio pirata, ladro di cuori puri da cui non ti staccavi, custode di affetti sinceri. Stamane il gelo della notizia mi ha sfregiato. Scrivo di te senza lasciare replicare la tua avveduta saggezza, da quegli angoli da cui per una vita hai osservato e soppesato tutti i grammi dell’esistenza.
Eri fabbro anche nelle parole in cui ricercavi l’essenza incandescente, la tua storia un poema di drammi, d’amore, di avventure negli impervi ignoti del sapere in cui la sofferenza dettava visibilità al tuo pensiero.
Oggi anche le parole sono nere scolorate da una scia di lutto, di accorato dispiacere di non averti qui fisicamente con noi, e sembra impossibile, con la tua barba che increspava le cicatrici di un volto da guerriero, di libero cavaliere, blasone di giustizia mai imparziale, distratto dalla bellezza che per te era una miniera, maestro del consiglio e guida, mentore dello scrivere, impassibile e defilato da quel pavoneggiarsi frequente in tanti ricercatori di premi e targhe poetiche che non meritano compiacimenti.
Un periodo truce che non fa sconti, impedisce di vedersi con i più cari e strazia sentimenti. Da due anni ostacolati da tanti impedimenti per rivedersi, mi aggrappo a quei ricordi di giorni trascorsi insieme, la stanza che hai dato a me e mia moglie e tu che al mattino dormivi sulla poltrona. La tua casetta , e quella di tua mamma al piano di sopra legame di un conforto, la cena con Daita e Cinzia nell’incanto della parola, lo spezzatino che cucinavi tra un bicchiere di vino e qualche riflessione, il reading alle Fate di Ragusa dove conobbi Salvatore Randazzo poeta , la parete dove firmavano i poeti che ti visitavano, e che accoglievi da maestro seguito, fissavano un ricordo al muro nell’istante di un incontro. E quel giorno ad Altavilla, ospiti di Mariadele per programmare il Rito della Luce, che vide la villa invasa da poeti a dir poco scapigliati, tu al mattino ti presentasti in giardino con pigiama giallo e i mocassini e li l’arguta osservazione di Sebastiano Adernò che disse vedete per diventare Janosky, come affettuosamente ti chiamava, “non è facile, saper essere liberi e di stare come si vuole”. Oggi siamo orfani di te che insegnavi a sparpagliare il cuore con la poesia sudata da un’anima operaia.
francesco di franco

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