La bella

Lei era La bella.
Quella con le tette apocalittiche, i capelli biondi e la bocca morbida.
Lei era quella con le gambe perfette, quella che quando noi eravamo ancora sul confine tra bambole e cuore, già si concedeva serena e lo faceva, naturalmente, coi belli.
Era quella che ogni ragazzina avrebbe dovuto detestare, perché i ragazzi guardavano lei e cercavano lei, anche quelli che piacevano a noi che eravamo ancora tanto indietro.
Eppure non si poteva detestarla perché era anche simpatica, in un modo che disarmava ogni pensiero di rabbia o disprezzo, quello tipico da volpe all’uva.
Lei era coi ragazzi esattamente come la desideravano e con noi un’amica vera, allegra, sincera e disponibile. Insomma era perfetta, come un’icona a cui tendere.
Un autunno, era andata a vivere altrove, non troppo lontano, ma abbastanza perché si sciogliessero i nodi laschi di quella età e di quell’epoca, dove le distanze non avevano mezzi per annullarsi.

Oggi l’ho rivista, dopo tutta questa vita senza più incontrarci.

Ci ho messo un po’ a capire chi fosse quella donna sfatta, non solo nel fisico, che però mi ricordava tanto qualcuno. Poi ho capito e l’ho osservata non vista, mentre, in coda allo sportello, aspettava coi pensieri chissà dove.
Guardavo intristita i capelli come paglia, le gambe ancora magre, nei pantaloni, a reggere un addome grande e sformato su cui appoggiavano due seni enormi e non più sodi, le braccia cadenti e le mani non curate, rosse di arsura. Non credevo a quegli abiti così dimessi e sgualciti, su di lei che era sempre quella più alla moda e profumata.
Poi gli occhi. Sotto le palpebre pesanti il brillio si era completamente perduto per strada e quello strano tic della bocca faceva pensare a denti falliti dentro alle guance.
Già, le guance.. rubizze, come di chi esagera, coi placebo a gradazione, da troppo tempo.
Il nasino sempre carino, però: rivolto in su, piccolo, grazioso e le labbra, nonostante il gesto, avevano ancora morbidezza.

Ho rabbrividito dalla paura di specchiarmi in quell’abisso temporale, perché quando lo guardi rosicchiare la bellezza giorno dopo giorno, si diluisce, fa male, ma un po’ per volta, mentre quando si mostra nel taglio netto di quarant’anni è disastroso. Perciò ero davvero tentata di andarmene facendo finta di niente, anche e soprattutto con me stessa, ma alla fine ha prevalso su tutto la voglia di salutarla, di sentire ancora la sua voce e mi sono avvicinata.

-Ti ricordi di me?-
Lei si gira, mi osserva un attimo pensosa e poi esplode: – Sicuro! Sei sempre uguale!- E sorride.
Così tutto si scioglie in abbracci e cerchiamo un posto dove regalarci un po’ di cronaca degli anni.

Io non sono sempre uguale, è ovvio, il tempo non mi ha risparmiato, ma quando ha sorriso avrei potuto dirlo anche di lei, perché in quel momento si è illuminata tutta di quei quindici anni, che io le portavo in sortilegio.
Solo quando la giovinezza, e tutto il suo corollario così fuggevole, sono un ricordo, solo lì, puoi assistere al miracolo della trasfigurazione e capire che davvero qualcosa va oltre la carne.
E la sovrasta.

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