DELL’AMORE E DELLA MERAVIGLIA (Domenica di Febbraio)

Chi ha detto che alla fine sia l’Amore l’energia vitale che sostiene, muove e scuote la vita dell’uomo, che sia proprio l’Amor, che move il sole e le altre stelle? O che sia l’odio, al contrario, è lo stesso, dio mi guardi dall’essere odiofobo, o l’avidità, perché no, o qualsivoglia altro sentimento solito della comédie humaine?
E allora che ognuno scelga da subito il suo candidato, tanto il discorso non cambia, mentre io proseguo continuando a prendere ad esempio Lui, che è il più referenziato e il più citato, il più popolare e il più gettonato nelle leggende delle scimmie nude.
Dicevamo l’Amore.
Ora, non si può negare che il Nostro abbia una sua ancestrale e seduttiva potenza, un efficacia pratica e una capacità suggestiva difficili da eguagliare. Forte, fortissimo, del potere assoluto e irresistibile che esercitano i bisogni sui viventi, lo stesso della fame e della sete, dell’istinto della conservazione e della respirazione, ha inequivocabilmente dalla sua una marcia in più, qualcosa che a tutti gli altri bisogni manca: l’inarrivabile mimetismo naturale. Monsieur l’Amour, infatti, non è solo il primo in ordine alfabetico nel lungo elenco degli egoismi ma è anche l’unico a esser capace di sembrare con assoluta nonchalance il proprio esatto contrario: un purissimo e disinteressato atto di altruismo, un donarsi che non si preoccupa di ciò che riceve in cambio. Con questa po’ po’ di doppiezza e di spregiudicatezza unite insieme, Sua Maestà l’Amore sembrerebbe proprio il candidato perfetto per ambire alla presidenza del consiglio in una qualsiasi democrazia avanzata o, più semplicemente, a far la parte del leone nella savana degli istinti che muovono i comportamenti dei Sapiens. E così infatti viene considerato dai più, declinato in apparentemente molteplici ma sostanzialmente analoghe versioni: spiegazione della storia e motore profondo dell’affannarsi e del progresso umano.
L’amore. Proprio lui.
L’Amore conferma di sé, l’amore camaleontico tentativo di sentirsi puri, di sembrar migliori, l’amore disperata ricerca di calore, di conforto, di un compagno di relitto nello sfacelo del naufragio e l’amore specchio, in cui abbacinarsi al miraggio della propria indispensabilità, foss’anche per un’ora, foss’anche per un solo qualunque altro da sé, mentre tutt’intorno si manifesta al di là d’ogni dubbio e ogni giorno la nostra irrimediabile superfluità.
Ma a far la prova del nove, prova che consiste semplicemente nell’immaginarsi che sarebbe d’ogni umana conquista in assenza o in difetto del sopracitato amore, ci si accorge facilmente che qualcosa nell’equazione vacilla. Siamo certi che il giavellotto o il surf siano nati da un atto di amore? Forse che non provano amore gli altri animali? E starebbe in questa peraltro poco dimostrabile mancanza la ragione per cui non hanno percorso così in fretta e con lo stesso successo la scala dell’evoluzione?
Non per amore, quindi, io ritengo, anche se ci piacerebbe pensarlo (e sarebbe invero romantico) sono nate le meraviglie dell’ingegno umano: il Bimby e la ruota, il motore a scoppio, la birra doppio malto, le punte di freccia in selce scheggiata e le calze autoreggenti.
E dunque, proseguendo il ragionamento, a chi spetta di diritto il posto usurpato da questo nostro sopravvalutato amore?
Che cosa veramente vince la naturale pigrizia del mammifero bipede e lo induce a indagare e muoversi senza sosta anche quando apparentemente nulla gli manca? Da cosa nasce l’insopprimibile desiderio, la speranza, l’utopia che ha di mutare il mondo, di cercare ora e sempre un luogo altro, un posto ideale? Cosa lo muove nell’intimo e poi lo spinge a darsi spiegazioni e poi altre ancora rispondendo a domande che nessuno gli pone se non la sua stessa mente? Che cosa lo turba, ne muove la curiosità e poi ne fa un eterno cercatore?
Direi che è giunto il momento di rivelarvi la mia idea in proposito visto che solo due gran paraculi come Lucio Dalla buonanima e il suo amico De Gregori potevano andare avanti per due ore con ‘ste domandine retoriche per poi rispondersi “laralallàla”.
Stupore. Si chiama così, credo, ciò da cui tutto inizia.
Stupore che prima paralizza il piede e la mano, e poi li costringe a muoversi per trovar rimedio, per cercare spiegazioni alla meraviglia, all’incomprensibile. Stupore alla vista dello spettacolo degli altri, di sé stessi, del creato. Stupore da cui fuggiamo cercando di trovare le leggi che regolano il mondo e che ci si para davanti di nuovo, un attimo dopo e in eterno, a farci vivi. Stupore senza cui non potremmo amare, senza cui sarebbe inutile parlare.
Stupore che se immaginiamo un Dio che ne sia privo non ci sembra di colpo desiderabile il suo posto e per nulla al mondo lo scambieremmo col nostro. Stupore che quando consentiamo ci lasci, quel giorno esatto prendiamo a morire.
E amiamoci pure adesso, e raccontiamoci tutte le favole del mondo sull’amore e sull’odio, sulla bontà e il livore, principi opposti del fottuto inspiegabile universo. Ma non dimentichiamo mai di stupirci di quanto siano profondi l’uno e l’altro, e senza scopo. Nè del volo ineguale di un passero infreddolito nel primo giorno di Febbraio.
Nè di quante cagate possa scrivere un mortale, in una domenica in cui non ha niente da fare.

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