DIVINA COMMEDIA 2.0

Ci hanno trovati quasi tutti con il trucco dell’intervista.
Irresistibile per noi l’intervista, come l’esca per il topo. Qualcuno che si scomoda a venirti a chiedere come la pensi su questo e su quello, ha l’aria di essere molto interessato alle tue risposte e soprattutto sta ad ascoltarle.
Quelli come noi ci passerebbero la vita a farsi intervistare.
“E adesso veniamo alle sue convinzioni politiche” aveva detto il presunto giornalista senza smettere di prendere appunti.
“Soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni” ho risposto citando Emil Cioran. Non vedevo l’ora. Marcuse e Barthes me li ero spesi nel quarto d’ora precedente.
L’intervistatore e il cameraman si sono scambiati un breve sguardo e l’intervista si è avviata rapidamente al termine.
La mattina seguente mi hanno preso.
Io sto nel braccio dei Profondi. Poi ci sono i Lungimiranti, gli Intelligenti, i Sapienti, i Colti, i Poeti, gli Intellettuali che occupano sezioni diverse.
Con loro ci incontriamo alla mensa e durante la passeggiata nel cortile.
Certo, dobbiamo essere proprio un bello spettacolo.
Non c’è uno di noi che stia zitto per più di due minuti consecutivi. Ognuno osserva tutti gli altri come fossero il gradino precedente dell’evoluzione che attendeva di culminare in quello seguente, costituito dalla sua persona. Fioccano le frasi ad effetto, le citazioni, i rimandi letterari, le criptiche allusioni, le amare constatazioni, le graziose ritrosie, le estetiche modestie. I curricula si scontrano e cozzano, le pubblicazioni vengono brandite come scimitarre, si calano fendenti poliglotti.
Non c’è male, insomma.
Una sorta di inferno dantesco rovesciato in cui invece dei dannati ci stanno spiriti magni e spiriti eletti. Parolieri e dicitori al posto di golosi e lussuriosi, critici e traduttori invece di assassini e traditori, eruditi ed artisti in luogo di spiriti empi e bestemmiatori.
Fuori di qui intanto sono rimasti tutti gli altri.
Quelli che non sono niente di tutto questo. Quelli che non sono niente di particolare. I Normali come loro chiamano sé stessi. Quelli che ridono se uno scivola, tifano per l’Inter o per la Juventus, cantano sotto la doccia, sognano di avere tanti soldi e si fanno fotografare davanti alla torre Eiffel almeno una volta nella vita.
Si sono messi in testa di ricostruire il mondo, i Normali. E chissà perché, nei loro processi mentali primitivi, si sono convinti che noi fossimo un ostacolo. Hanno preso tutti i grilli parlanti e le fate turchine, li hanno rinchiusi e ora si stanno dando da fare come gli viene, senza guide.
Li guardiamo da qui, in sala multimediale o in biblioteca, al telegiornale delle 20 o sul quotidiano del giorno prima e, a dir la verità, bisogna dire che siamo tutti molto impressionati.
Lo dicevo l’altro giorno con il Profondo della 27, uno psicoanalista lacaniano. “Stanno facendo proprio un bel lavoro” gli dicevo, e lui ne conveniva. E d’altronde, come non farlo? Hanno risolto più problemi da soli in pochi mesi che in decenni di nostra illuminata conduzione. E mentre dicevamo così, cosa ancora più strana, né io né lui soffrivamo nel fare questa constatazione, inspiegabilmente.
Anzi, bisogna proprio dire una cosa, per essere sinceri.
Si respira un’aria leggera qui in carcere da qualche tempo. Siamo tutti, come sollevati, rilassati. Di essere stati esonerati dal compito di sapere qual’è la cosa giusta da fare, la strada da percorrere.
E’ così bello poter giocare ai pensatori senza questa responsabilità. Così liberatorio. Ammettere finalmente che noi, di come va il mondo, non abbiamo mai capito niente. Perché, in fondo in fondo, non ce n’è mai fregato niente.
E intanto questa corro ad appuntarmela che se no me la scordo. L’aggiusto un po’ e ne viene un’aforisma che a Cioran, se fosse vivo, come minimo gli prenderebbe uno schioppone.

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