Quasi li ricordo,
quei fremiti dolciastri
Quei cimeli ormai sbiaditi
in una nenia senza tempo
Piccoli cenni verticali sfuggiti
a leggiadre sinfonie
d’amore materno
Che d’occhi ingenui e cuori
non v’è più traccia alcuna
nei vicoli mori della nostra defezione
Solo corse ruggite e filamenti sporadici d’addii.
Volti scomparsi nelle cloache del tempo
e braccia tese in nudi teschi di liberazione
Tremuli tentativi d’afferrare,
lembi di salvazione
come poveri Cristi polverosi
Oh, la croce ed i suoi dolori!
Dove ogni uomo si cimenta nel tormento
vi soccombe in resurrezione
Come il risplendere di nuove albe torbide
che aspettano longeve ed inespugnabili
il lambire di freschi passi d’innocenza,
insidiando il preconcetto di Divino splendore
lungo ossa ancora fragili e poco avvezze
alla reale dissidenza delle carni