Forugh Farrokhzad / Poeti Internazionali

SALUTERO’ DI NUOVO IL SOLE

Saluterò di nuovo il sole,
e il torrente che mi scorreva in petto,
e saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri
e la crescita dolorosa dei pioppi in giardino
che con me hanno percorso le secche stagioni.

Saluterò gli stormi di corvi
che a sera mi portavano in offerta
l’odore dei campi notturni.

Saluterò mia madre, che viveva in uno specchio
e aveva il volto della mia vecchiaia.
E saluterò la terra, il suo desiderio ardente
di ripetermi e riempire di semi verdi
il suo ventre infiammato,
sì, la saluterò
la saluterò di nuovo.

Arrivo, arrivo, arrivo,
con i miei capelli, l’odore che è sotto la terra,
e i miei occhi, l’esperienza densa del buio.
Con gli arbusti che ho strappato ai boschi dietro il muro.

Arrivo, arrivo, arrivo,
e la soglia trabocca d’amore
ed io ad attendere quelli che amano
e la ragazza che è ancora lì,
nella soglia traboccante d’amore, io
la saluterò di nuovo.

Forugh Farrokhzad, La strage dei fiori. Cura, introduzione, traduzione e note di Domenico Ingenito, Napoli, Edizioni Orientexpress, “Le Ellissi” 2007.

UN’ALTRA NASCITA

La mia intera vita è un canto oscuro
che nel continuo ripeterti
ti porterà all’alba di eterne crescite e fioriture.
Ti sospiro, oh, e sospiro in questo canto
in questo canto ti ho unito all’albero
ti ho unito all’acqua
ti ho unito al fuoco.
Forse la vita
è una lunga via attraversata ogni giorno da una donna con una cesta in mano]
forse la vita
è una corda con cui un uomo si appende dal ramo di un albero
forse la vita è un bambino che torna da scuola e…
Forse la vita è una sigaretta accesa, nella languida pausa fra due amplessi]
o un passante che passa stupito
e solleva il cappello
e – Buongiorno! – dice, con un sorriso senza senso a un altro passante.]

La vita forse è quel momento serrato
in cui il mio sguardo si annulla nelle pupille dei tuoi occhi,
presentendo che mi mescolerò
alla comprensione della luna, alla conquista del buio.

In una stanza grande quanto una solitudine
il mio cuore
grande quanto un amore
attende i pretesti semplici della sua felicità
e il delicato appassire dei fiori nel vaso
e l’alberello che hai piantato nel giardino di casa nostra
e la voce del canarino
che canta nello spazio di una finestra.

Ecco,
questa è la mia parte
questa è la mia parte
la mia parte
è un cielo che una tenda scosta da me
la mia parte è venir giù da gradini abbandonati
e raggiungere una cosa appassita d’altri tempi
la mia parte è una passeggiata malinconica nel giardino della memoria.]

E morire nella tristezza di una voce che mi dice
– Amo, amo le tue mani –

Seminerò le mie mani in giardino
diverrò verde, lo so, lo so,
lo so,
e le rondini deporranno le uova
nelle pieghe delle mie dita sporche d’inchiostro.
Incollerò alle mie unghie due petali di dalia,
e indosserò i due rossi orecchini
di due rosse ciliege gemelle.

E c’è una strada dove i ragazzi che mi amavano
sono ancora lì
con i loro capelli spettinati e i colli sottili e le gambe magre,
pensano ancora al sorriso innocente di quella ragazza
che una sera il vento portò via con sé.

C’è una strada che il mio cuore
ha rubato ai quartieri dell’infanzia.
Il viaggio di una sagoma lungo la linea del tempo
fecondare con una sagoma la sterile linea del tempo,
la sagoma conscia di un’immagine
che poi ritorna
da una festa nello specchio.

Ed è così che qualcuno muore
e qualcuno resta.
Nessun pescatore raccoglierà mai la perla dall’esile ruscello che sfocia in un fosso.
Conosco una piccola triste fata
che vive nell’oceano
e suona il suo cuore in un flauto di legno,
piano piano,
piccola triste fata,
che a notte muori con un bacio
e all’alba, con un bacio,
tornerai al mondo.

Forugh Farrokhzad, La strage dei fiori. Cura, introduzione, traduzione e note di Domenico Ingenito, Napoli, Edizioni Orientexpress, “Le Ellissi” 2007.

IL MIO UOMO

Il mio uomo
con il suo corpo nudo e disinvolto
come la morte s’innalza,
sulle sue cosce vigorose.

S’intrecciano le fibre
delle sue membra nervose
al disegno solido del suo corpo.

Il mio uomo dai tempi andati
dalle generazioni perdute sembra giunto.
Un tartaro nel taglio dei suoi occhi
in agguato dei viandanti,
un barbaro nel guizzo splendente dei suoi denti
incantato dal sangue caldo
della preda.

Il mio uomo
come la natura,
volge al senso ineluttabile
di una comprensione chiara
lui, con la mia disfatta
conferma la legge inappellabile
della forza.

Terribilmente libero,
simile a un istinto puro
nel cuore di un’isola alla deriva.

Della polvere delle strade
lui si libera, con i resti
della tenda di Majnun, antico Folle d’amore.
Il mio uomo
come un dio nei templi del Nepal
da sempre un’esistenza da straniero.

Lui,
è un uomo dei secoli passati
memoria d’una bellezza d’altri giorni.
Risveglia intorno a sé
continuamente come l’odore un bambino
il volto di pure memorie.

Lui come ballate di villaggio
irrompe violento puro nudo.

Sinceramente ama
i grani della vita
i grani della terra
le tristezze degli uomini,
le limpide tristezze.

Sinceramente ama
il sentiero verdeggiante di un villaggio
un albero
un coccio antico
i panni stesi al sole.
Il mio uomo
è un essere semplice,
un essere semplice che io
dalla terra nefasta e volgare
ho nascosto nei boschi dei miei seni,
come ultimo segno
d’incantevole religione.

La strage dei fiori (Orientexpress, 2008), a cura di D. Ingenito

Forough Farrokhzad (Teheran, 5 gennaio 1934 – Teheran, 13 febbraio 1967) è stata una poetessa persiana.

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