Gli Alberelli di Hiroshima

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Da bambino mi sono sempre domandato dove cazzo andasse a finire tutta la gente durante la giornata.
All’asilo si entrava in fila indiana, come volenterosi Cheyenne pronti per il macello e tutto quello che vedevo, dei vari e pochi genitori che accompagnavano i loro pargoli, erano le spalle, mentre piano piano entravamo nella bocca del mostro trita carne colorato.
C’erano, folletti disegnati sui muri, c’erano di tanto in tanto anche una sorta di alberi di natale adesivi appiccicati alle porte delle classi.
Ma a me, non mi fregavano… Io sapevo benissimo che i fottutissimi alberi di natale, non li avevano appiccicati per noi. Perdio era settembre e babbo natale arrivava solo a dicembre… Quindi i fottuti erano lì chissà da quanto!
Che spocchiosi! pensavo… non hanno manco la faccia di appiccicare adesivi a tema e in ordine cronologico corretto, per noi altri pronti all’estremo sacrificio in nomine Padre et fili et spirito santo amen. Così, mi limitavo ad osservare il verde di quei rami scoloriti. Erano gli anni 80 e secondo me quelli lì, erano stati stampigliati da una sicura fabbrica di Hiroshima almeno 35 anni prima.
Tutte le mattine era lo stesso tran tran. Papà s’alzava bestemmiava e andava via, mamma s’alzava mi svegliava, bestemmiava e andava via, nonna mi prendeva e mi scaricava in discarica.
Oh! Sempre uguale…
Poi non so se avete notato, ma quando si è fanciulli si ha la strana tendenza a percepire il tempo, diciamo, leggermente dilatato. E così le settimane sembravano mesi, i mesi… anni! Cosa che al tempo mi faceva al quanto incazzare visto lo tristo spettacolo mattutino.
Ora, ritornando alle spalle dei giganti morti, mi chiedevo dove cazzo andassero tutti. Le facce dei tizi non mi piacevano neanche un po’… c’era la mamma sgargiante tinta rossa tutta peperina, che sembrava non vedere l’ora di sganciare il gentil frutto del suo grembo agli aguzzini, perché in casa l’attendeva l’idraulico per aggiustargli le tubature… c’era il papà muffa inverdito poi, tutto trafelato, con la schifosa giacca a scacchi borghese completo di 24 ore simil pelle, che il figlio praticamente lo lanciava dalla macchina per correre in ufficio. E poi c’era la plebaglia che come me, veniva sganciata direttamente dall’astronavenonna.
Povera donna, quante gliene devo aver fatte passare…
Ma dico?! cioè questa s’è già sganasciata il culo tutta la vita in una pidocchiosa fabbrica per tirare a campare e ora guarda se deve sorbirsi pure lo spacca maroni di nipote con le turbe natalizie…
Al tempo non ero perfettamente lucido, non che ora la cosa sia migliorata, ma dopo la visione di sganciamenti aereo spaziali, mamme psicolabili con tube intasate e padri poco schizzati scozzesi, cominciavo a dubitare sull’effettivo RUOLO che in effetti io ricoprissi…
Non più la gioia della mamma e del papà tutto cicci pasticci, non più il frutto terreno e meraviglioso dono d’eternità in Geni. Forse, ero come dire, una sorta di convenzione…
Già! Lo sapeva bene la nonna che mezza zoppa mi trascinava assonnato tutte le mattine, che forse, tutta ‘sta solfa del focolaio era come dire, un qualcosa che andava fatto.
Perché? beh dopo attente riflessioni fanciullesche credo che la risposta fosse ben piazzata davanti alle porte dei nostri personali gironi infernali.
La scarsa attenzione.
Lei era fuori sì! Ma era anche dentro… e forse, più dentro di quello che i miei vecchi ed io pensassimo.
Credo che in qualche modo, il voler anticipare, o forse, forzare ciò che in realtà erano, ha come rotto un qualcosa che di per sé doveva essere un atto spontaneo e naturale. Oppure, il dover violentare continuamente e ripetutamente loro stessi, per riuscire in qualche modo a compattare il loro status in qualcosa di fermo e sicuro, ha in realtà scardinato il normale equilibrio della vita.
Ma la domanda che mi sorgeva subito e spontaneamente dopo era:
Perché mai due persone innamorate, nel pieno della loro giovinezza e facoltà mentale, dovevano sfrondarsi il pube e la libertà per anticipare o comunque agire in tal senso, se questo in qualche modo li distruggeva? cosa?
La paura di non farcela? La sensazione di monogamia soffocante e la routine o la fottuta velocità?
Ecco! è la velocità forse, che da sempre ci ha fottuto. E ci fotte in ogni ambito della vita: A letto, nel cesso, sul lavoro. La velocità signori… è lei la colpevole!
Siamo tutti lì, corriamo come minuscole formiche strafatte di metanfetamina.
Corriamo, corriamo , sbattiamo e poi… cominciamo a ricorrere…
È questo lo scopo di ognuno di noi, anche da fanciulli, correre!
Per dove non lo si è mai capito fino in fondo. La paura della morte ci soggioga già in fasce mentre osserviamo l’orsetto Yoghi che sbrana un cestello della merenda al povero sventurato turista o mentre osserviamo lo sguardo dei nostri genitori: spento…
Spento da una vita che forse non meritavano, dalla rabbia che poi coviamo per loro già dentro di noi in tenerissima età.
Dalla sensazione di sconfitta,
perenne
che ci perseguita, anche quando, siamo da sempre veri eroi
e che in fondo, forse forse, l’alberello di Hiroshima
ci poteva anche stare.

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