La morte ride – Omaggio a Georges Bataille- di Paolo Spaziani e Letizia Corsini

Personalmente sono stanco – e penso di non essere il solo – di questa poesia edificante, consolatoria, decorativa, di questa onesta pedagogia del niente. Dopo Baudelaire la trovo datata, stucchevole, superflua. Non bisogna dare il peso di un senso alla vita, questo la schiaccia. Piuttosto bisogna celebrarne la tremenda e meravigliosa fugacità. Lo stesso teatro, servile al Testo, alla sua presunta Verità, mortifica l’attore che diventa nient’altro che un impiegato della messa in scena.
Per questo è così importante l’operazione fatta da Paolo Spaziani, con regia di Letizia Corsini, in questo suo monologo bilingue (francese e italiano) “La morte ride”, presentato al teatro Argomm di Milano il 23 febbraio di questo 2023. Si parte dal poemetto “L’arcangelico” di quel filosofo anomalo che fu Georges Bataille, in una traduzione che, benché fedele all’originale, sembra al tempo stesso e paradossalmente quasi una riscrittura operata da Spaziani stesso. Qui, più ancora che altrove, Bataille scrive con quella crudeltà trasognata che è segno del suo genio consacrato alla dépense. Questo nella voce di Spaziani, che percorre come un brivido nero la pelle degli spettatori, modulandosi dal soffio al grido, si rivela parola detta e non più parafrasata o raccontata, parola scagliata fuori come un incubo, parola di rovesciamenti fatali, di fatali aporie dense di una potenza sconcertante. L’informe, il caotico, l’incongruo, ci liberano da tutto ciò che codificandoci, organizzando il peso del nostro caos, ci intrappola in un corpo di concettosità alienanti. Lo spettacolo è la cronaca minuziosa di un trauma di derive, la scoperta di un tempo, di un ritmo, di un’estasi, di una trance, che Spaziani condivide con il suo pubblico, sempre pietrificato, sempre turbato. Ecco uno spettacolo che si segue con il fiato sospeso dall’inizio alla fine. La tensione, sin dal mutismo iniziale dell’attore, sin dalla scenografia essenziale, è massima. La catastrofe arriva con melodie dolcissime, strazianti, ”dolorose come il cuore”.

Davanti a questa straordinaria incarnazione batailliana si rimane scioccati. Così il teatro si compie come evento umbratile che restituisce alla luce dei versi la loro dimensione panica d’immersione in un‘immensità traditrice. Spaziani opera da negromante evocando stati alterati di una coscienza che ha sete di deserto, laddove si compie un’estasi oscura, vibrante di tutte le contraddizioni umane. Se “l’universo è un suicidio gaio “, noi sperimentiamo, grazie alle variazioni musicali della sua voce, la verità indiscutibile di questo e altri apparenti paradossi che fanno di Bataille un interprete lucido di quel collasso energetico, di quella singolarità rappresentata da un altro filosofo anomalo, Friedrich Nietzsche. L’attore qui è il poeta della sua stessa sparizione, il maestro di tutti i segreti, lo ierofante che celebra l’immediato e ne consacra la fuggevole, e folgorante, insensatezza. L’effetto è liberatorio, catartico, la scena diventa il luogo di decantazione dell’intollerabile, di rifrazione di quell’imprevedibile, oggi così raro in teatro, la scena diventa luogo di un enigma senza decifrazione.
Paolo Spaziani rimane seduto per qualche minuto prima di iniziare un canto che sembra provenire dalle caverne di un’esperienza ai limiti del pensiero, che è sempre “scheletro dell’impensabile”, quando l’attimo inventa il suo tempo, e l’attore non è più interprete di un testo ma il tramite di forze pulsionali che si scatenano sulla scena, come resto di questa carneficina di significati gregari. Il testo torna fiato, grido, carne, sangue, sussurro. Sembra la vendetta degli spiriti, il ritorno dei morti ma ciò non ha nulla di funebre, del resto è di Bataille la frase: ”L’erotismo è l’approvazione della vita fin dentro la morte”.

Il volto dell’attore è una maschera inquietante, il suo muoversi sulla scena è una danza casuale eppure profondamente necessaria. Tutto collassa anche il nostro stesso collassare, ”l’amore è parodia del non amore.”

Spaziani, munito di una chitarra che emette solo suoni stridenti, senza cercare la consolazione di una melodia normativa, esplora i versi di Bataille come fossero vertiginosi abissi in cui specchiare tensioni universali. L’originale francese si alterna con una traduzione che ne valorizza le variazioni musicali. Tutto è giocato su un piano d’improvvisazione in cui le sequenze, le frequenze ritmiche, sono affidate al momento; Spaziani afferma la casualità come una necessità intrinseca all’atto teatrale, ogni spettacolo è unico, non c’è ripetizione, l’attore è prossimo al suo pubblico, si fonde con esso. Il teatro è un gioco sacro finché effimero, sembra dirci Spaziani, musicista jazz di una partitura poetica in cui Bataille cessa di essere autore di alcunché e ritorna ad essere una congerie di pulsazioni, soffi, grida, eruzioni… Spaziani uccide se stesso, uccide Bataille, si offre al sacrificio, perché trionfi il canto di un’inquietudine che precede ogni maschera. Delittuoso e clandestino l’attore testimonia la nostra stessa evanescenza, svela il nostro trucco d’esistere, sembra aggredirci con la grazia del suo rigore estetico ed estatico, ci frantuma con la dolcezza di una lacrima.

Ogni atto, anche un respiro, il rumore della deglutizione dell’acqua, bevuta dall’attore, un suo calcio alla bottiglietta, sono eventi in cui sembra concentrarsi tutta la nostra ansia di significazione che rimane però insoddisfatta, questo spettacolo non si piega alle logiche normative del Senso. Cosicché l’applauso finale, benché prolungato, non è la risposta più adeguata a una performance che ci chiede, attoniti, di testimoniare il silenzio. Qui l’attore danza un sacrificio di sé, sperimenta l’annichilimento come un’estasi di “maschere propiziatorie”, proibite, e condivide questo con il pubblico in quella che sembra essere una cerimonia di dissipazione sacrale. Atto politico di resa alle dinamiche della catastrofe, atto erotico, eretico ed eroico che annuncia la propria futilità come una conquista, ancora una volta Paolo Spaziani si conferma un unicum nel panorama teatrale italiano. Da seguire con attenzione.
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La morte ride – Omaggio a Georges Bataille-monologo di Paolo Spaziani – regia di Letizia Corsini- Teatro Argomm, Milano, 23 febbraio 2023

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