“La vita è un sogno” – Lodovica San Guedoro

Sin dalle prime pagine de “La vita è un sogno” di Lodovica San Guedoro, edito da Effigi nell’ottobre 2024, il dettato è attraversato come da un’onda anomala che scompagina in più punti della pagina ogni tentativo di un approccio critico sistematico. Perché da questo romanzo emana una malia a tratti terribile, a tratti affascinante come una sciarada, la quale chiede una decifrazione che conservi intatta l’aura del suo enigma originario.Siamo su un treno, allegoria privilegiata della società contemporanea, treno in cui Lodovica San Guedoro, tesse questa trama, fra realismo magico e amara favola postmoderna, memore probabilmente del Perelà di Palazzeschi, evocando questo florilegio di personaggi, ognuno dei quali sembra incarnare per antonomasia un settore intero della società. Abbiamo perciò: “l’ex simpatizzante extraparlamentare”, i due giovani alternativi e figli dei fiori, il giovane vagabondo poeta e flâneur, il giovane drogato, il giornalista, una madre con la figlia piccola, il sindacalista, l’artista vagabonda etc. Tutti questi personaggi sono privi di nome spesso, a rimarcare la propria natura di archetipi. Il treno attraversa la campagna toscana e contemporaneamente il confine che separa realtà da immaginazione, perché su questo treno tutto può accadere, anche che uno dei personaggi sia proditoriamente e imprevedibilmente infilato su un disco volante al grido “Sì all’amore, al gioco, alla fantasia!” e che una misteriosa luce azzurrognola illumini ogni cosa bagnandola di un mistero suadente e straniante, che dei pennuti antropomorfi gozzoviglino sui vagoni davanti a passeggeri stupiti e a tratti inorriditi…

Qui l’ elegante, rarefatta, sobria e studiata semplicità della scrittura,  come in uno scrigno cela riflessioni politiche di ampio respiro,  in cui convergono le varie voci per comporre un mosaico in cui il desiderio di una palingenesi rivoluzionaria di tipo politico sembra allearsi con la rivolta estetica degli artisti e in questa sinopia, suggellata dai versi di un redivivo Rimbaud, si allestisce il palinsesto di una rottura radicale con le forze occulte di quel “brutto poter ch’ascoso/ a comun danno impera.” E che sembra gravare su questo treno, con il piombo opprimente dei suoi riveriti stereotipi culturali. Come dicevamo, il realismo magico dell’insieme è turbato da una costante incrinatura perturbante, che cresce durante tutto il romanzo e che fa vacillare il senso della realtà restituendoci il sense of wonder, la stupefazione di chi, rimanendo con i piedi saggiamente poggiati sulle nuvole, come nelle parole di Flaiano, può vedere tutto dall’alto, con il rischio di cadere, però, e di sfracellarsi contro il cemento, armato contro la vita, dell’”arido vero”.

Il romanzo è stratificato, polifonico, un caleidoscopio di voci, facce, manichini, un disegno barocco, e perciò molto accurato, del nostro contradittorio mondo. Tutto questo emerge da questo testo, strutturato come una scena teatrale, in cui i volti e le maschere hanno la stessa consistenza illusoria e non si sa se sia la maschera a nascondere il volto o viceversa. Piacerebbe molto a Deleuze quest’opera proteiforme,  per il moto sciamante di queste voci che rompono il grigiore stantio della narrativa contemporanea,  ibridando Jarry (“sorcietà” è  neologismo –  storpiatura, come il celeberrimo “Merdre” di Ubu Roi),  Bontempelli (l’atmosfera magica è congeniale a Lodovica San Guedoro;  si era già visto ne “Le memorie di una gatta”), Landolfi (il perturbante de “La pietra lunare” qui diventa uno spaventoso gioco al massacro,  come nei romanzi  e soprattutto nei drammi  di  Yasmine Reza, in un crescendo di situazioni parossistiche e assurde, che rivelano la sostanziale crudeltà della società contemporanea che ha affidato alla logica dei computer i lacerti della propria anima) Palazzeschi (nella costruzione di una non storia di bizzarrie patafisiche,  che appassiona molto di più  per la ricercata, e pienamente quantistica,  mancanza di una vera linearità cronologica;  ecco, tutto ciò è necessario all’autrice,  per creare questa  letteratura di clamorosa originalità.

Così con questo “La vita è un sogno”, romanzo, tra l’altro, tratto da un dramma teatrale realizzato nell’ormai lontano 2003, da qui i dialoghi serrati e l’atmosfera rarefatta, da incubo acido,  Lodovica San Guedoro si conferma ancora una volta una scrittrice da seguire con estrema attenzione. Le opere, che si è lasciata alle spalle, parlano per lei. Ecco un’autrice che sa stupire e che sa stupirsi.  Come sempre, noi di Bibbia d’ Asfalto ci siamo, anche il sito Lankenauta la segue da anni in tutte le sue metamorfosi letterarie: drammaturga, romanziera, traduttrice di poesia, esteta ed è ormai tempo di essere chiari: Lodovica San Guedoro è fra le scrittrici più eclettiche, intense, sorprendenti e dunque inquietanti del panorama letterario contemporaneo. Non stupisce che in un’epoca appiattita sul politicamente corrotto, le difficoltà per emergere siano, per lei, strazianti, come testimonia la sua vicenda di scrittrice italiana letteralmente fuggita in Germania.

E se l’arte, come scrive Susan Sontag è proprio ciò che ha il compito di renderci inquieti, questa scrittura così poliedrica sembra invitarci, surrettiziamente, a disertare i deserti di una letteratura che invece di porgere al pubblico uno specchio, sconvolgendo le sue prospettive assiologiche, si limita a lisciare il pelo della sua mediocrità di licantropo appena un po’ incravattato.

 Questa congerie di voci che non cercano più nessun autore ha come cuore un grido: il grido contro la civiltà delle macchine. Sono le pagine finali di una lucidità che fa impallidire qualsiasi Byung- chul Han, grido di rivolta di cui non diciamo nulla per non svelare il mistero del romanzo. Mi limito a citare invece Aldo Braibanti che ho sentito risuonare potentissimo nel finale; il quale nel 1978 scriveva questi versi:

 

“la videodroga tiene sempre più attenti i molti quarantenni cretini

i loro rampolli credono di essere liberi nella plastica dei giochi virtuali

a messa va bene

va bene a scuola allo stadio in discoteca

ma sempre a misura dei computer

ma sempre navigando nella giungla delle informazioni informali”.

Profetico non vi sembra?

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