Spiegherò al mare, l’odore del silenzio
I paesi satellite che minacciano
gli schianti sulle stazioni centrali,
sulle case che crollano da sole,
mentre passano le ambulanze,
le porte di emergenza
da vandalizzare, tredici piani di
arresti domiciliari e cronaca
quotidiana nei bar clandestini.
“E gettami giù la giacca
ed il coltello,
E gettami giù la giacca
ed il coltello”
Dall’insegna Esselunga
che domina nascosta dalla
nebbia perenne e appare come
la madonna nelle giornate
di sole dai condotti degli ascensori.
“Che voglio vendicare
il mio fratello,
Che voglio vendicare
il mio fratello”
Con le carcasse delle risate
sfregiate sui pilastri portatori
di slang in neolingua, con i grattaevinci
affilati che attirano gli zombie e squarciano
le vene dei mattoni rossi e le farmaciste con
gli occhi che brillano e le dosi sottobanco.
Spiegherò all’asfalto, l’oppressione della salsedine
La raucedine di due occhi stanchi
dietro un vetro anticatarro che si appiccica
poetica sulle erbacce,
l’acciaio dei tram che scopa violento
e urlante con questo grigio
umido di orgasmo al plexiglas e disinfettante,
i negozi col menarca che giacciono
esausti e aperti accarezzando le lamiere
di un auto rubata,
i cicli regolari delle camionette dell’esercito,
le visite occasionali in cortei di sbirri,
gli occhi della barista cinese che mi prepara il caffè.
“O luna, luna, luna
che fai la spia,
O luna, luna, luna
che fai la spia”
Sopra gli alcolisti che marciano
in trionfo di scarpe slacciate e
brandelli di cappotti offerti
alle notti sottozero.
Sotto i padiglioni esistenziali
di paraboliche e cianfrusaglie,
negli elogi di vomiti e serrande.
Attraverso i lobi delle circonvallazioni
tenui, imboccando percorsi a caso
tra la foschia e la disperazione,
discendendo in cordata nel panico
dell’ottimismo variabile,
con possibili e durevoli sconfitte.
“Bacia la donna d’altri
ma non la mia”
“Bacia la donna d’altri
ma non la mia”
Facendo esplodere i microfoni dei
ricevitori, inventando nuove
costellazioni da incastonare
nelle segreterie telefoniche
perenni, respirando nuove litanie
da affidare al vento, per mandarlo
ad incagliarsi in una radice di
ginepro, nascondendo promesse
e vocaboli nelle onde dei capelli,
lasciando chilometri di sguardi
ad abbronzarsi in fotogrammi
di corsie d’emergenza occupate
e pelle fuori dal finestrino
di un ricordo di sorpassi.
Dedicherò infine, un granello di sabbia, al canto della responsabilità
Prima che arrivino i custodi a sgomberare
i bisogni, ad assolvere le repliche
dei concerti, a giustiziare le mie
figure di merda, ad incenerire
ogni centimetro di quotidiana noia.
“La via a San Vittore
l’è tuta sasi,
La via a San Vittore
l’è tuta sasi”
Di aspirazioni a risparmio
energetico, di Gilgamesh solubili,
pronti in due minuti, di opinioni
fracassate, di increspature in bottiglia,
di stalagmiti leggermente
frizzanti e difese da stendardi di strisce
pedonali, di erosioni stilografiche e
frangiflutti per pozzanghere.
“L’ho fatta l’altra sera
a pugni e a schiaffi,
L’ho fatta l’altra sera
a pugni e a schiaffi”
Trascinando le nocche addosso
ai morsi delle porte automatiche,
con i gomiti a sferragliare sopra
i bianchi attimi di privilegio,
innescando sputi anneriti dagli applausi,
con gli ematomi in evidente stato di
ovvietà, lanciando rotule smagrite ai cannibali
del sempre nuovo, sprofondando a gamba tesa
tra le costole a serramanico delle parole
pronunciate ad alta voce, col piede di porco
tra gli incisivi dei silenzi, centrifugando
esoscheletri di trattabilità riciclabile,
scuoiando i tuoni,
disarticolando le nevrosi,
aspirando le ultime variabili
prima dell’ultimo notturno.
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Movimenti e ‘stress’ ginsberghiani; l’uso del modulo lungo come una bop-suite: splendido!